Il tumore mammario, che colpisce circa il 12% della popolazione, è la forma più diffusa di tumore tra le donne.
Fortunatamente, è anche uno dei tumori da cui si guarisce più facilmente: grazie a importanti scoperte compiute negli ultimi 15 anni, ci si è resi conto che esistono vari tipi di questo tumore, ognuno dei quali risponde in modo diverso alle numerose terapie disponibili.
Questa rivoluzione nell’approccio terapeutico, insieme a un tasso sempre più elevato di casi diagnosticati precocemente, ha fatto sì che più dell’89% delle pazienti sopravviva ad almeno cinque anni dalla diagnosi.
Il tumore ovarico, al contrario, è molto meno diffuso, colpisce circa l’1% delle donne, ma è più difficile da combattere, poiché i sintomi della malattia sono molto vaghi, la diagnosi spesso arriva quando il tumore ha già metastatizzato in altre parti del corpo e la sopravvivenza a cinque anni è solo del 46%.
Una piccola ma non trascurabile percentuale di tumori mammari e ovarici è imputabile alla mutazione dei geni BRCA 1 e 2.
In Italia sono oltre 600 le pazienti affette da tumore ovarico BRCA+ e altrettante quelle affette da tumore mammario BRCA 1 o 2 positivo.
I Parp-inibitori sono farmaci che sono diventati, grazie alla ricerca degli ultimi anni, un punto fermo per queste pazienti, che in molti casi, dopo essersi sottoposte a un doppio ciclo di chemioterapia, sviluppano una resistenza ai farmaci che ha finora rappresentato il principale ostacolo sulla via della guarigione.
“Da oggi tuttavia è possibile offrire alle nostre pazienti affette da queste forme tumorali qualcosa di più – affermano la prof.ssa Marina Cazzaniga, Direttore del Centro di ricerca Fase 1 e il prof. Fabio Landoni, Direttore della Clinica Ginecologica della ASST di Monza – la combinazione di PARP-inibitori e immunoterapia potrebbe aumentare le possibilità di cura”.
“I PARP-inibitori svolgono un’azione che consiste nell’annullamento dei meccanismi di riparazione del Dna nelle cellule neoplastiche dell’ovaio e della mammella, con la conseguente morte delle cellule malate” – spiega il prof. Landoni, “a cui si aggiunge il potenziamento e la riattivazione del sistema immunitario operato dagli anti-PDL-1” – conclude la prof.ssa Cazzaniga.
Questo studio rappresenta quindi un’opportunità unica per le pazienti con tumori della mammella e dell’ovaio e mutazione dei geni BRCA 1 e BRCA 2.
In Italia sono solo tre i centri in cui viene applicato il protocollo sperimentale: il Centro di ricerca di Fase 1 della ASST di Monza è uno di questi.
“Avere un Centro di ricerca di Fase 1 per sperimentare nuovi protocolli di cura è una opportunità molto importante per coniugare la ricerca scientifica alla sua applicazione clinica – sottolinea Mario Alparone, Direttore generale della ASST di Monza –. Sicuramente non sono tante le Aziende Sanitarie Pubbliche che dispongono di questa possibilità per i propri pazienti”.