Il territorio bollatese vanta la presenza di un artista del pennello, Paolo Fabbro, che è molto amato in città per le sue opere e per il suo carisma, contraddicendo il detto che “nessuno è profeta in patria”: Fabbro lo è.
Il Notiziario lo ha intervistato e Paolo ha spaziato lungo tutta la sua ricchissima vita artistica e umana.
Come e quando è nata la “vocazione” all’arte?
“Sono di origine veneta, provincia di Treviso. Stando ai racconti di mia madre, era abbastanza disturbata dal fatto che io fin da piccolissimo disegnassi sempre e comunque. Ero talmente piccolo che non sapevo leggere né scrivere e disegnavo la “musica”: quando sentivo la musica facevo delle volute, delle linee, delle spirali e dicevo: “sto disegnando la musica”, poi tutto quello che ho fatto l’ho fatto sempre con una matita e un pennello; ho cercato di perfezionarmi sempre; non mi sono abbandonato alla vocazione e basta, ho studiato parecchio”.
In casa erano d’accordo che coltivasse quest’arte?
“Assolutamente no, infatti è stato un grosso problema nella mia vita per me e per mia madre, perché mio padre era meno coinvolto dalla faccenda; io ero a scuola un emerito somaro perché non studiavo, non ho mai provato a fare un compito, quando venivo interrogato non uscivo per evitare di far brutte figure. Disegnavo sempre e mia madre avrebbe voluto farmi fare il geometra, era disturbata da questo fatto che io buttassi via il mio tempo disegnando. Ero un ragazzino di tredici o quattordici anni, mia madre, disperata, come ultima chance mi ha portato da uno psicologo infantile, ero un po’ “birichino”, mia madre aveva portato un disegno che avevo fatto la sera prima dicendo: “Dottore, mio figlio farebbe tutto il giorno solo questo”, e questo disse: “Ringrazi il cielo! Una persona così ha un mestiere in mano”. Io sono del ’41 per cui saranno stati gli anni ’50, allora mia madre ha incominciato a dire chissà mai che… Poi, quando da grande mi sono dedicato a tempo pieno alla pittura, si è convinta anche lei”.
Ha fatto percorsi didattici, magari a bottega di qualche artista?
“No, io ho avuto due o tre grandi maestri e poi oltretutto ho avuto il professor Russo per il disegno che era uno scultore, insegnava al Castello Sforzesco, poi ho avuto Gino Moro per la figura, il nudo; sono quelli che mi hanno lasciato il segno. La mia grande fortuna è che negli anni d’oro di Milano c’erano centomila possibilità di lavorare per cui ho lavorato per gli architetti. Allora non c’erano i computer per cui non si potevano fare le prospettive col computer come adesso, usavano quindi pittori come me, davano il progetto e noi dovevamo rappresentarlo, per cui la prospettiva ho avuto modo di impararla molto bene. Ho lavorato facendo cartoni animati per la Tagot per un certo periodo. Ho lavorato all’ufficio pubblicità della Rinascente facendo il grafico, poi l’illustratore per cui ho abbinato la scuola accademica d’Arte e l’Arte applicata all’industria e questo insieme di esperienze mi ha dato la possibilità di lavorare e non aver problemi”.
Cos’è per Paolo Fabbro l’arte pittorica?
“Io penso che ho solo degli strumenti per suscitare emozioni che sono pennelli, colori e matita. Quando “vedo” un pianista, un sassofonista, un batterista come destreggia il suo attrezzo provo una grande invidia, vorrei buttar via i pennelli ed esprimermi come lui, quando leggo una bella pagina dico “ma perché io non son capace?”, insomma ognuno ha i suoi mezzi e io mi aggrappo ai miei”.
Come è stata la sua evoluzione pittorica nel tempo?
“Come modelli artistici ci sono stati gli impressionisti, i macchiaioli italiani, tutto l’ottocento italiano, ogni regione aveva la sua corrente, c’erano i veneti con il Favretto, poi il Piemonte con Giovanni Quadrone, la Toscana con Fattori, Napoli con Mancini… Quelli sono sempre stati i miei riferimenti, dalla seconda metà dell’ottocento Gauguin e la Spagna, Joaquin Sorolla, gli inglesi, gli americani, dopo la seconda metà dell’ottocento, è stato il passo dal neoclassico alla pittura moderna”.
L’artista Paolo Fabbro e la “sua” Bollate
Paolo Fabbro e la sua Bollate: come è il rapporto con il territorio?
“A Bollate ci sono cresciuto e ho un bel ricordo, sono molto legato e me ne sono accorto quando ho cercato di farmi lo studio a Milano in zona Brera poi me lo sono fatto sui Navigli: alla fine ero un pesce fuor d’acqua e sono tornato a Bollate e mi sono trovato uno studio a Castellazzo: ho fatto quarant’anni in quello studio a Castellazzo, poi mi sono spostato a Bollate dove sto benissimo; conosco un sacco di gente e sono abbastanza conosciuto e vedo che la gente mi vuol bene e lo ha dimostrato mille volte ed ho sempre cercato di ricambiare, credo di aver un buon rapporto con il paese”.
Ha avuto qualche riconoscimento dall’amministrazione pubblica per collaborazioni?
“Dall’Amministrazione non ho mai avuto alcuna richiesta, dal Comune niente, con la Chiesa si. Con la Chiesa ho fatto le vetrate della cappella di San Francesco, ho fatto le vetrate per una tomba ai caduti di guerra al cimitero e con l’Arma dei Carabinieri, ho fatto parecchi quadri in tutte le caserme; anche per Bollate ho fatto tante litografie per l’Arma dei Carabinieri, poi un bel quadro alla Casa per anziani”.
Dal Comune neppure una pergamena o una targa?
“No. Ho sempre detto: “se avete bisogno di qualche cosa, sono a disposizione, io non vi chiederò mai una lira”. Sono un po’ come il bambino che gioca a nascondersi, lui si nasconde e nessuno lo va a cercare, da parte del Comune purtroppo. Invece con la cittadinanza ho veramente un bel rapporto…”.
Paolo Fabbro, il bilancio di una vita
Quali sono le tappe più importanti che hanno segnato la sua vita?
“Credo di aver fatto dei piccoli passi e un bel percorso lungo ma non sono arrivato a delle vette, sono stato abbastanza regolare. Ho avuto la fortuna di trovare una ragazza con la quale volevo sposarmi, è mia moglie alla quale sono molto legato e le sarò sempre grato tutta la vita perché non mi ha incoraggiato né bloccato, mi ha accompagnato nella mia carriera. Sono andato avanti tranquillo. Adesso sto dipingendo ancora a 81 anni con entusiasmo e con lo stesso entusiasmo di quando avevo trent’anni”.
I cittadini rispondono bene alle sue iniziative?
“Da Bollate ho ricevuto molto: ho fatto delle mostre e sono state sempre molto frequentate e ho riscosso dei bei successi, ho provato a fare dei corsi di pittura e vedo che sono ben accolti. L’unica cosa che mi dispiace è che sono frequentati da signore splendide, donne che vanno in pensione con degli entusiasmi nel cassetto; le donne considerano la pensione un punto di partenza. Arrivano, lavorano, si applicano. Per gli uomini la pensione è un traguardo di arrivo, e questo mi spiace”.
Il futuro di Paolo Fabbro: “Non ho alcuna paura di morire”
Cosa attendersi per il futuro da Paolo Fabbro?
“Ho ottantun’anni passati e vorrei dipingere ancora tanto con lo stesso entusiasmo che ho adesso, però fatalmente so che finirà molto presto e le dirò in tutta confidenza che non ho nessuna paura di morire, adesso, poi però mi aggrapperò ai lampadari. Mi sento appagato e, se muoio, muoio in serenità. Non credo di essere mai stato un genio che ha rivoluzionato il mondo della pittura, il mondo dell’arte, del pensiero, credo di essere stato accompagnato da questa grossa passione che ho. Per cui adesso non ho nessuna intenzione di morire; però se dovesse succedere adesso, a freddo la prenderei con estrema serenità. Sono contento”.
Redazione web
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