di Stefano Di Maria
Dopo due anni di attesa è finalmente tornato su Netflix con la quarta stagione FAUDA, serie israelo-palestinese a metà fra la spy-story e il drama, che dimostra come le nuove produzioni seriali del Medioriente nulla hanno da invidiare a quelle europee e americane.
Questo nuovo capitolo, che si dimostra all’altezza dei precedenti, spazia dal Belgio alla Cis-Giordania, dal Libano alla Palestina e a Israele, in un turbinio di lotte corpo a corpo, sparatorie e uccisioni. Fino all’episodio finale, che sa di epico, tenendo col fiato sospeso fino all’ultimo secondo.

FAUDA 4 – LA TRAMA
In questo quarto capitolo di FAUDA troviamo il protagonista Doron che vive in una fattoria da due anni, isolato dal mondo, segnato dalle perdite e dalle delusioni delle precedenti operazioni sotto copertura. Per lui è tempo di tornare sul campo quando il suo capo e amico Gabi viene rapito dai palestinesi. Da quel momento torna in squadra coi colleghi, pronti a tutto pur di liberarlo.

FAUDA 4 – LA RECENSIONE
Ancora una volta, in tutto il suo caos (parola che dà il titolo alla serie), FAUDA si rivela un concentrato di azione e violenza che non danno tregua per tutti e dodici gli episodi, improntati sul realismo delle scene (si persiste con la giusta scelta di sottotitolare i dialoghi arabi) e sull’ambientazione nel Medioriente.
Ma quel che ci preme rimarcare, così come per le altre stagioni, è la grande umanità con cui vengono tratteggiati i combattenti addestrati a uccidere: dopo avere rischiato la vita per anni e avere visto morire i loro compagni, per loro sembra arrivato il momento di chiudere il cerchio. Conciliare la famiglia con le operazioni fuori da Israele, da infiltrati o meno, non è facile. Forse lo era all’inizio, quando erano più giovani, ma non più adesso che sentono il bisogno di tranquillità e finirla coi giochi al massacro per difendere il Paese dal terrorismo. Ne sono consapevoli anche le mogli, che in una scena confessano di essere venute a patti – loro malgrado – con quell’esistenza che non ha nulla di normale. L’intero cast eccelle nel trasmettere questo disagio: tanto più Lior Raz nei panni di Doron, tormentato dai lutti, dal sacrificio di avere perso la famiglia e i colleghi, ma allo stesso tempo incapace di stare a commiserarsi quando l’unità anti-terrorismo ha bisogno di lui. E’ come se fossero tutti in una trappola da cui non riescono a uscire per loro volontà, specchio di una realtà poco conosciuta ma che è facile immaginare: le vite-non vite degli infiltrati e dei combattenti, che sacrificano tutto per il loro Paese. Alla fine ci si chiede se siano davvero felici di quello che fanno, ma tant’è.

Una domanda che vale anche per i combattenti della controparte palestinese: uomini che come loro credono nella “causa” e soffrono per mogli e figli. La serie continua infatti a mettere in luce cosa accomuna le due fazioni, anziché parteggiare per gli uni o per gli altri. Cercando punti d’incontro invece che di separazione.
Al di là di questo, FAUDA si conferma una serie di ottima fattura anche nel comparto tecnico. Quasi in forma documentaristica, gli autori narrano gli eventi (frutto di fantasia ma molto più vicini alla realtà di quanto pensiamo) con tecniche di ripresa in continuo movimento, catapultandoci in quella realtà come se la vivessimo lì in quei momenti, in quei luoghi. La scrittura è convincente e senza particolari vuoti narrativi, la fotografia cristallizza le città e i paesaggi del Medioriente come poche altre serie hanno fatto, il ritmo è scattante, senza un attimo di tregua anche negli ultimi due episodi, sorprendendo ancora dopo che si pensa si sia chiuso tutto in dieci.

Il finale potrebbe lasciare intendere la volontà di non proseguire (anche perché gli autori sembrano ormai avere esaurito le idee), ma a questo punto la quinta stagione non sarebbe di troppo.
VOTO: 4 su 5
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