Stefano Di Maria
Feriti gravi, salvataggi, morti, fughe, lanci di granate e artiglieria pesante… Sembra una guerra in piena regola la quinta stagione de LA CASA DI CARTA. L’azione si svolge sempre nella Banca di Spagna, ma con la discesa in campo dell’esercito, per stanare la banda del Professore, ci si potrebbe trovare su un qualunque campo di battaglia.
La storia riprende dallo “Scacco matto” pronunciato dalla poliziotta Alice Sierra (interpretata da una magnifica Najwa Nimri): finalmente ha in pugno il Professore, raggiunto nel suo covo, ma lei stessa è una ricercata e finirà col diventare il capo espiatorio dei piani fallimentari delle forze dell’ordine per arrestare la banda. Nel frattempo viene schierato l’esercito, la cui irruzione nella banca si trasformerà in guerra.
E’ andato giù ancora più pesante, stavolta, Alex Pina, l’autore della fortunata serie Netflix, seguitissima in tutto il mondo: per il capitolo finale, la cui seconda parte sarà rilasciata il 3 dicembre, ha voluto che il gioco si facesse davvero duro. Il che è tutto dire considerate le adrenaliniche quattro stagioni in cui è già successo di tutto. Non possiamo che ribadirlo: una bella serie sì, ben confezionata e coinvolgente, ferma restando la sospensione dell’incredulità per una storia che di possibile e realistico ha quasi nulla.
Anche in questi primi episodi della stagione conclusiva, attraverso i suoi personaggi femminili, Alex Pina mette in luce la forza e la determinazione delle donne: Tokyo, così come Nairobi prima di morire, Lisbona e Stoccolma sanno essere tanto fredde e lucide per raggiungere i loro scopi quanto appassionate e romantiche in amore.
Un lato che emerge nei flashback come durante la resistenza in banca, perché il bello dello show è proprio questo: tra sangue a fiotti e morti, c’è spazio anche per l’amore, quello vero, che fa palpitare il cuore a mille. A tratti si respira un climax tipico della soap (che nei prodotti seriali spagnoli è immancabile), ma che importanza ha nell’economia della storia? Non mancano altri temi sempre di attualità: come l’essere transgender, col bellissimo personaggio di Manila, e il volersi battere in nome del popolo contro il sistema dei poteri forti, messaggio poetico quanto retorico.
Stavolta nei flashback scopriamo il primo amore di Tokyo, René (interpretato dal Miguel Angel Silvestre di SENSE8), con cui commetteva rapine, e il figlio di Berlino, Rafael (Patrick Criado), avviato dal padre ai furti; quest’ultima una storia alienata dal contesto della vicenda, che sembra introdotta più per allungare il brodo moltiplicando la suspense su cosa accadrà nel presente. A tratti quel che succede è confuso, col rischio che la storia si incarti su se stessa, ma il binge watching è garantito (almeno per gli affezionati).
Non resta che attendere la parte 2 a dicembre. Un bel regalo di Natale anticipato.
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