La gravidanza, e il parto, dovrebbero essere tra gli eventi più naturali del mondo.
Per le donne, ma anche per i papà dei bambini.
Purtroppo però, negli ultimi anni anni si è assistito a una sempre più diffusa “medicalizzazione” della gravidanza e del parto, con un crescente aumento di parti cesarei, veri e propri interventi chirurgici, spesso non necessari per la salute del neonato e della neo-mamma.
A porre l’attenzione sull’argomento è stata addirittura l’Organizzazione mondiale della sanità.
Proprio l’Organizzazione mondiale della sanità ha diffuso nuove linee guida per il parto, che eliminano l’enfasi sulla quantità di tempo in cui dovrebbe avvenire un parto naturale “normale”. Eh, insomma – e chi scrive è donna e mamma – per restare nei “parametri”, quando partoriamo, dovremmo avere circa 1 centimetro di dilatazione ogni ora (linee guida degli anni ’50) altrimenti il cesareo si renderebbe necessario.
Perché? per una questione di tempo e denaro. Chiunque abbia avuto un figlio sa che il tempo di travaglio, e il parto vero e proprio, sono questioni molto soggettive: in assenza di problemi di posizionamento del bambino, o di salute della madre e del bambino, ogni donna, e anche ogni gravidanza per la stessa donna, comportano tempi diversi.
Secondo l’Oms, l’aumento della medicalizzazione del parto ha portato a interventi non sempre necessari. Queste procedure sono diventate “dilaganti” in molti paesi. In più: vengono utilizzati farmaci che accelerano il travaglio, le contrazioni e il parto, come l’ossitocina, anche quando non sarebbe realmente necessario.
L’Oms ha insomma “bacchettato” l’Italia, perché la pratica del taglio cesareo è passata da circa il 10% all’inizio degli anni Ottanta al 37,5% nel 2004, percentuale che si e’ rimasta invariata fino al 2015.
L’Oms afferma che alcuni parti cesarei saranno sempre necessari, ma non dovrebbero superare il 15% in qualsiasi paese. Nelle nuove linee guida, oltretutto l’Oms dice che la soglia di 1 cm all’ora di dilatazione “non è realistica”.
Quindi negli ultimi anni si è assistito a un aumento dei parti con taglio cesareo con conseguente medicalizzazione della nascita. I motivi sarebbero dovuti anche all’età sempre più avanzata delle donne che hanno il primo figlio.
Le conseguenze dell’aumento di richieste di parto cesareo hanno portato naturalmente a un aumento dei costi per il Sistema sanitario nazionale, in quanto un cesareo costerebbe alla struttura il 36% in più rispetto a un parto naturale.
Il costo include la remunerazione dell’equipe, dell’intervento, della degenza più lunga della madre e i farmaci necessari. Il parto cesareo può sempre essere richiesto dalla donna, anche quando le condizioni cliniche non lo renderebbero necessario.
Purtroppo rimane alla discrezione del medico consigliare la futura mamma in merito alla questione. Ricordiamoci che in una struttura pubblica il costo dell’intervento è ricoperto dal Servizio sanitario nazionale. Ed è proprio qui che nascono le polemiche: favorire gli interventi per avere un rimborso maggiore?
Ricordiamo anche che una donna che abbia effettuato un cesareo al primo parto, difficilmente potrà avere un secondo parto naturale, oltre a poter incorrere in un più alto rischio di aborti spontanei nelle eventuali successive gravidanze.
Naturalmente il parto cesareo è una pratica che si rende necessaria in presenza di determinate condizioni, che potrebbero mettere a repentaglio la salute della madre e del bambino. Ma se anche l’Oms ha reputato che in Italia l’intervento è diventato un po’ troppo di routine, e senza motivo, un motivo ci sarà. E ci auguriamo che non sia solo il rimborso del Sistema sanitario nazionale che le strutture percepiscono, a fare la differenza.
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