Il ministro Dario Franceschini giovedì scorso, durante la visita al Salone del libro di Torino, ha annunciato l'intenzione di dare un aiuto alle librerie togliendo l'Imu che questi negozi, come gli altri, pagano sulla superficie della propria attività.
Si tratta, certo, di un'intenzione pregevole, poiché chi vive nella nostra zona sa bene che le librerie stanno diventando sempre più rare: il guadagno sui libri è minimo, i supermercati applicano sconti fratricidi, la fredda vendita online cresce e il risultato è che questi preziosi negozi chiudono sempre più spesso. L'ultimo caso è la chiusura, annunciata in questi giorni, di “Pagina 18” a Saronno. Ed è un peccato, perché si perde un patrimonio, perché si perde la figura del libraio, quella persona che ama la lettura, conosce i libri e ci sa consigliare.
Tuttavia, l'eliminazione dell'Imu, se davvero ci sarà, ha un po' il sapore degli aiuti di Stato che un tempo si davano alle aziende che non sapevano camminare da sole: un palliativo.
La vera cura per far rinascere le librerie dovrebbe venire da noi, non dallo Stato, dovremmo essere noi a farci un esame di coscienza: troppo facile lamentarci che nei nostri centri non c'è più una libreria, un fruttivendolo o una merceria, se poi non entriamo mai nei pochi negozi che resistono. “Ma sono più cari del supermercato!”, direte voi. Certo, spesso è vero, ma avranno pur un valore l'esperienza e l'amore che questi commercianti dedicano al loro lavoro. Anche mangiare una costata è più caro che magiare l'hamburger al fast food, eppure per nutrire il corpo non badiamo a spendere qualche euro in più.
Non vale la pena di fare lo stesso per nutrire il cervello con un bel libro?
Piero Uboldi
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