La tragedia ferroviaria che ha colpito martedì l'Italia ha portato con sé le disperate dichiarazioni dei parenti che “chiedono giustizia”. Sì, parenti scioccati che chiedono di punire in modo esemplare i colpevoli di questa sciagura.
Purtroppo, però, questo è un ritornello che sentiamo ripetere troppo spesso, specie nel sud Italia: quando accade un caso di malasanità, una calamità prevedibile o un incidente ferroviario, tutti chiedono giustizia. Ma è tardi, è troppo tardi: la giustizia non può far resuscitare i morti, non può ridare gli affetti ai vivi. La giustizia andava chiesta prima, questa è l'amara verità. Noi viviamo in un Paese in cui, soprattutto in certe zone, la raccomandazione conta più della meritocrazia.
Una pessima abitudine che però va bene a molti, per cui si sta zitti, non si denuncia, non si chiede giustizia, si preferisce elemosinare il favore. E' una brutta abitudine che spesso porta a far lavorare, in certi ospedali come in certe ferrovie, non le persone migliori, più preparate e più attente, ma quelle che hanno gli agganci migliori, le raccomandazioni più forti.
E' su questo che noi dobbiamo chiedere giustizia, è a questa logica che dobbiamo ribellarci, perché, fino a quando ci facciamo andar bene questo sistema, non abbiamo il diritto, poi, di lamentarci se un medico incapace sbaglia un'operazione, se un ferroviere distratto fa partire un treno che doveva stare fermo o se l'Europa ha dato i soldi per costruire il secondo binario ma nessuno l'ha mai realizzato.
Piero Uboldi
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