Omicidio passionale tra Bollate e Senago, con tanto di regolamento di conti a colpi di pistola. Inutile il trasporto d’urgenza in una casa di salute di Senaghino, perché per Giuseppe Bennati non ci sarà nulla da fare. Inchiostro e sangue di un duello per amore, cronaca dell’anno 1875. Sì, perché anche il “Secolo di Milano”, con le sue uscite cadenzate di due giorni, ricostruisce come 150 anni fa si mettessero in ordine le questioni di onore.
Omicidio tra Bollate e Senago, il movente passionale
Allora come oggi, tra le prime cause di dissidio c’erano questioni di cuore. Il capitano cavalier Eugenio Mancini, noto innanzitutto per essere figlio di un avvocato di nome nonché politico affermato, della sua futura vittima era anche amico. Di più, si direbbe oggi. Non fosse altro che Giuseppe Bennati, addetto al Banco di Napoli e figlio del direttore generale delle Gabelle, frequentava gli stessi ambienti della buona borghesia. Ma evidentemente non solo. Questo il sospetto di Mancini, che ricevette lettera anonima con il presunto tradimento della moglie con il suo amico fidato. Un classico, ma anche una tragedia. Divenuta tale dopo che “il marito oltraggiato si recò tosto al luogo designato dall’anonimo”, racconta Iacopo Gelli, ricostruendo le cronache dell’epoca. “Entrò in una casa in via Unione, salì le scale e bussò all’uscio”. Dal quale comparse Bennati, in compagnia neanche a dirlo della moglie del primo.
Il regolamento di conti tra Bollate e Senago
L’onta del disonore sarebbe dovuta essere lavata con il sangue, pensarono i due. Decisi a salvaguardare il proprio nome di oltraggiato o la donna, mai così vicina a diventare vedova. E il giorno del Corpus Domini, “mentre le campane rallegravano co’ loro squilli pettegoli la monotonia della brughiera milanese, due carrozze si seguivano sulla polverosa strada di Bollate. I due veicoli abbandonarono la strada principale, al punto dove anche ora sorge una piccola casetta, sulla facciata della quale è dipinto lo stemma di casa Borromeo”.
Colpi di pistola alla presenza dei testimoni
Ed è lì poco distante, in una radura tra qualche salice, che la premeditazione del delitto assume i suoi contorni: un omicidio a colpi di pistola, proprio tra Senago e Bollate. Perché se l’impeto della scoperta era stata in qualche modo gestita, diverso sarebbe dovuto essere l’epilogo dell’affronto: omicidio sarebbe stato, a prescindere da chi fosse stata la vittima. Senza che l’ira potesse stravolgere l’etichetta, il rituale prevedeva la presenza di testimoni e medici, con le pistole visionate e poi caricate dai rispettivi padrini dei duellanti. Nessuno dei quali, per inciso, accettò la preventiva richiesta di accordo presentata dal direttore del combattimento. Estrazione a sorte su chi avrebbe dovuto sparare per primo all’altro, dunque. Con 20 passi di distanza. E Mancini che finì per esplodere il colpo che – descrizione fin troppo morbosa a parte – si risolse in una pleuro-pneumotraumatomia fatale.
L’omicidio a Bollate e la versione ufficiale edulcorata
Di quello scandalo e del successivo omicidio, ci fu grande clamore non solo a Bollate e Senago. Scrive Giarrelli: “Mancini e la sua illustre signora Laura Beatrice Oliva Mancini avevano compromessa nell’avvocato Pier Ambrogio Curti ogni loro autorità e facoltà, affinché le conseguenze del caso miserando fossero, al più possibile, attenuate”. La versione che ne uscì cambio i nomi dei protagonisti, le modalità dell’omicidio, trasformato in suicidio. Mantenendo inalterato il luogo del tradimento, quella trattoria di via Unione poco distante dall’abitazione di Mancini, in via Torino. “Ma a che pro questa vivisezione d’una povera salma? Le sia lieve la terra e vi dorma in pace”, aggiunse Giarelli.
Stefano Arosio
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