
“Andare avanti, nonostante la violenza”. Sono trascorsi cinque mesi da quando Suor Luisa Zoia ha lasciato la parrocchia ‘Sacra Famiglia’ nel quartiere Prealpi di Saronno dove operava da 12 anni ed è partita missionaria alla volta di Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo. Mesi impegnativi e difficili per le incognite della pandemia – nel paese i casi di Covid sono stati 30mila con poco meno di 800 vittime – ma soprattutto per la sicurezza dei nostri connazionali, laici e religiosi, che operano nel continente: la mattina del 22 febbraio un agguato mortale a Kibumba è costato la vita all’ambasciatore italiano Luca Attanasio che insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista Mustafa Milambo era in missione per conto del World Food Program delle Nazioni Unite nella regione congolese del nord Kivu.

E ancora la notte del 25 aprile un agguato ha ferito Padre Christian Carlassare, il giovane vescovo missionario veneto nominato l’8 marzo da Papa Francesco vicario della diocesi di Rumbek, in Sud Sudan. Nel 2020, secondo le informazioni raccolte dall’agenzia vaticana Fides, sono stati uccisi nel mondo 20 missionari tra sacerdoti, seminaristi e laici: di questi 7 solo in Africa. Nella capitale dell’Ex Zaire dove opera Suor Luisa le notizie degli attentati sono arrivate spesso frammentate e in ritardo soprattutto per la difficoltà nelle comunicazioni.
Suor Luisa in Congo, dove è stato ucciso l’ambasciatore Attanasio
In un’intervista a Il Notiziario.net la religiosa saronnese traccia un bilancio di questi primi mesi di attività missionaria.
Suor Luisa, come vede la situazione della sicurezza in Repubblica Democratica del Congo oggi?
«La situazione qui a Kinshasa e dintorni è tranquilla, non ci sono casi particolari di agitazioni né polizia in giro. La situazione però è drammatica nella zona orientale del paese, in particolare nel nord Kivu dove si trovano bande armate che entrano nei villaggi e seminano terrore e violenza, in particolare su donne e bambini. La settimana scorsa queste bande sono arrivate a decapitare alcune persone. Il presidente della Rdc, (Félix Tshisekedi ndr) di ritorno da una visita a Parigi ha dichiarato lo stato d’assedio dell’est e del nord-est. Dopo l’agguato di febbraio in cui ha perso la vita l’ambasciatore Attanasio, la situazione in città è tornata apparentemente tranquilla».
Come procede la sua missione li?
«Io sono arrivata qui ad inizio anno e per me è un po’ come una “seconda puntata” visto che ero già stata in Congo molti anni fa. Qui in città abbiamo due case di formazione per le giovani congolesi che vogliono diventare suore e una casa apostolica appoggiata alla chiesa dove sono attivi un presidio sanitario e una scuola materna per i bambini della zona. La nostra missione è quella di mettere in autonomia le opere di sostentamento delle sorelle dando loro la dignità del servizio».
Che cosa significa per lei operare come missionaria?
«Per me essere missionaria è innanzitutto condividere, essere una presenza. Talvolta si ha la possibilità di essere più direttamente a contatto con la gente talvolta, come nel mio caso attualmente, si sta più in seconda linea a contatto con le sorelle congolesi che hanno scelto di vivere la vita consacrandola al servizio degli altri».
Quale messaggio si sente di rivolgere ai missionari che operano nelle regioni più pericolose?
«Certamente c’è sempre un margine di rischio tra l’ideale che si ha della propria missione e la situazione reale che si incontra ma penso che se il messaggio è chiaro bisogna seguire il proprio obiettivo donando tutto quello che si può».
Claudio Agrelli
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