Lui non lo dice, ma possiamo immaginare cosa pensi Ait Lahcen, originario del Marocco, da 11 anni in Italia, di un Paese come il nostro, dove può accadere anche che uno parta il 27 luglio per tornare nella sua terra con un “certificato di ferie” in mano, necessario poi per rientrare, e il 2 settembre, pronto per ricominciare in fabbrica, non trova più l’azienda.
Ait è uno dei 35 dipendenti della Parma Antonio e figli Spa, che dal 31 luglio sono fuori dall’azienda anche se, ufficialmente, non hanno ancora capito bene a che titolo, se in ferie forzate, se sospesi, se in cassa integrazione oppure licenziati.
L’azienda è ufficialmente fallita il 21 agosto ma martedì mattina, i 35 lavoratori riuniti per la prima volta davanti alla fabbrica dopo la drammatica assemblea del 30 luglio, non hanno ancora in mano niente di sicuro.
I titolari gli hanno detto, a voce, che “la macchina si è fermata” e dal giorno dopo loro sono rimasti a casa.
La vicenda, incredibile della Parma Antonio e figli Spa, che ha montato casseforti e caveau nelle maggiori banche italiane e non solo, sarà affrontata al Ministero del Lavoro in un incontro in programma domani, 10 settembre.
“Abbiamo scoperto di essere in liquidazione quasi per caso, a luglio, un mese dopo l’apertura della procedura” -sottolineano alcune delle impiegate. “Mancano i soldi in casa” -dice Luca Ponchielli di Uboldo, 31 anni, di cui 13 trascorsi alla Parma, suo primo impiego.
“Con la mia compagna ho un mutuo da 665 euro al mese, per fortuna lei un lavoro ce l’ha ancora, ma è durissima”.
Denny Angerillo ha 39 anni, lavorava alla Parma da 8 anni: “Continuavano a ripetere che siamo una grande famiglia, ma io ai miei figli non darei mai delle pugnalate alle spalle come hanno fatto loro”.
Domani, 10 settembre ci sarà l’incontro a Roma, speriamo di avere confermata la cassa integrazione, ma chissà quando potremo incassarla
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