Sono state pubblicate oggi le motivazioni della sentenza con cui Riccardo Chiarioni è stato condannato a 20 anni per avere sterminato la sua famiglia in quella che è diventata tristemente celebre come la “strage di Paderno”.
“Guidato da un pensiero stravagante” e “bizzarro”, voleva “raggiungere l’immortalità attraverso l’eliminazione della propria famiglia”, restando però “sotto il suo controllo”. Aveva “distinto la realtà dall’immaginazione” e “lucidamente programmato, attuato, variato secondo il bisogno le proprie azioni, prima, durante e dopo”. È quanto scrive il Tribunale per i minorenni di Milano nelle motivazioni della condanna a 20 anni – la pena massima in abbreviato – inflitta a giugno a Riccardo Chiarioni, che nel 2024, a 17 anni, uccise padre, madre e il fratellino di 12 anni nella villetta di Paderno Dugnano. I giudici non hanno riconosciuto il vizio parziale di mente, nonostante la perizia psichiatrica.
Riccardo Chiarioni, le motivazioni della sentenza di condanna: “Voleva raggiungere l’immortalità”
Nelle 51 pagine firmate dalla presidente Paola Ghezzi, la strage viene ricostruita attraverso interrogatori, testimonianze dei parenti e dichiarazioni dello stesso ragazzo, cresciuto in una “famiglia normale” e con un movente che resta senza spiegazione.
Lo psichiatra Franco Martelli ha descritto un giovane sospeso tra realtà e “fantasia”, deciso a rifugiarsi in un mondo della “immortalità” e convinto di doversi “liberare di tutti gli affetti”. La giudice cita “aspetti personologici disfunzionali quali un elevato grado di alessitimia”, una “divisione psichica della personalità” e la “persistenza della fantasia-progetto”.
Per Ghezzi, Chiarioni fu un “manipolatore”, capace di progettare gli omicidi “nei minimi dettagli”, mostrando “scaltrezza” nel “tendere la trappola per uccidere i genitori nella sua cameretta e non nella camera matrimoniale”, dopo aver già colpito il fratello. Un’azione “sconcertante”, con “numerosissime coltellate, infierendo sui loro corpi esanimi ed anche colpendo alle spalle il padre”.
Riccardo Chiarioni condannato al massimo della pena per il rito abbreviato
Pur applicando la “diminuente della minore età e le circostanze attenuanti generiche”, il tribunale ha inflitto la pena massima, rilevando anche “la condotta tenuta immediatamente dopo il delitto” per “eludere le investigazioni”: prima tentando di far ricadere la colpa sulla madre, poi sul padre e infine su di sé, ma solo dopo aver saputo dal nonno che la prima versione non era creduta. Dalle analisi informatiche emersero inoltre foto del “Mein Kampf” e “esternazioni di pensiero comprovanti la sua inclinazione verso l’ideologia fascista”, nazista e “omofoba”.
La sentenza esclude qualsiasi squilibrio: “dall’esame del funzionamento mentale di Riccardo… non si ravvede alcuna evidenza di una condizione psichica di instabilità e di ingovernabilità”. Piuttosto “potenti stati emotivi, una grossa dose di rabbia ed odio narcisistici” furono “benzina” per un “accanimento e varietà delle lesioni” tali da rivelare “modalità particolarmente spietate dell’esecuzione”.
L’allora 17enne “ha mantenuto lo stesso livello di organizzazione mentale durante le diverse fasi del delitto, non apparendo in alcun momento dissociato… secondo un piano ben organizzato, frutto dell’intelligenza di condotta dimostrata ed applicata”.
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