Valerio Gorla, il liutaio di Garbagnate.
Talvolta ci sono attività di cui non si conoscono le caratteristiche: è il caso del liutaio Valerio Gorla che Il Notiziario ha conosciuto e quindi lo ha intervistato chiedendo innanzitutto quali sono le maggiori difficoltà da affrontare nella realizzazione di uno strumento. Il maestro ha spiegato: “La prima difficoltà è saperlo costruire. Io più che un singolo strumento realizzo un corpo di strumenti musicali: a corde, a corde doppie e che vengono dall’ambito della musica folk, principalmente quella irlandese, che è stata la mia passione con cui ho cominciato ed anche dalla musica folk in generale. Alcuni sono strumenti realizzati nel corso degli anni, altri invece sono strumenti recuperati perché non erano più in uso, relegati in cantina”.
Valerio Gorla, intervista al liutaio di Garbagnate
La sua è una famiglia votata alla musica…
“In genere la musica ci è sempre piaciuta. Io non avevo fratelli o genitori musicisti però la musica c’è sempre stata in famiglia. Mia moglie aveva uno zio musicista direttore di banda, così forse combinando assieme le due cose i miei figli sono sicuramente tutti appassionati di musica e il secondo ha scelto la musica come professione”.
Quando è sorta la passione per gli strumenti a corda, tipo mandolino, chitarra classica o elettrica?
“La passione per gli strumenti è nata negli anni ‘70, diciamo con la riscoperta della musica popolare, che prima è stata al Sud d’Italia:“Nuova compagnia di canto popolare” per poi arrivare anche al Nord Italia con la musica della nostra tradizione; all’interno di queste ecco gli strumenti tipo il mandolino di cui tutti parlavano ma che nessuno suonava più, oppure la chitarra battente, o anche strumenti tipo l’organetto, il violino usati in un ambito popolare non certo classico”.
Un lavoro artigianale di precisione che svolge con passione. Rifarebbe tutto quanto fatto?
“Certo, sicuramente magari avrei fatto qualcosa di diverso, però le cose col senno di poi non vanno mai bene; comunque non ho rimpianti al punto di dire che ho sbagliato a fare in un modo piuttosto che in un altro”.
Il lavoro del liutaio, come è cambiato nel tempo? Lo racconta il maestro Valerio Gorla
Come si è evoluto nel tempo?
“Partendo dalla musica irlandese con il bouzouki c’erano altri strumenti, tipo il mandolino che non era il classico mandolino napoletano, perché in America, ma anche in Inghilterra, in Irlanda utilizzavano uno strumento diciamo a cassa piatta e così ho cominciato a fare un altro strumento che si chiama “Cittern”, che era praticamente un bouzouki con una corda in più, cioè 5 corde doppie invece di quattro corde doppie. All’inizio incontrando varie musiche del mondo e leggendo, ho conosciuto altri strumenti che non erano solo la chitarra, in Sudamerica ce ne sono tantissimi portati là dagli spagnoli durante la conquista e che si sono conservati e trasformati. Mentre in questi ultimi anni, tramite mio figlio che è un appassionato studioso di musica barocca, ho incominciato a ad interessarmi e costruire strumenti della famiglia del liuto, con la chitarra barocca, la “Tiorba”, che è un liuto con un manico lunghissimo, e simili”.
Quale è il tempo per la realizzazione di un mandolino, o di uno strumento in genere?
“Dipende tanto dai propri metodi di lavoro. Io ho provato a costruire uno strumento in una settimana, senza problemi, perché una volta che uno ha imparato non ci va tantissimo tempo; poi dipende: a fare un liuto in una settimana, neanche nelle più rosee previsioni, però un mandolino, un bouzouki che sono gli strumenti che io faccio ormai da trent’anni, quarant’anni li posso fare in una settimana, non faccio mai uno strumento alla volta. Sto facendo in questo periodo, due viole da gamba, una chitarra battente, tre chitarre battenti che sto verniciando, tre bouzouki irlandesi; non so mai con precisione quanto ci ho messo, anche perché siccome per me è un hobby, non è un mestiere, una professione, non mi interessa neanche tanto sapere quanto ci ho messo a fare una cosa piuttosto che un’altra. L’importante è il risultato: finirlo per quando deve essere pronto”.
Quale legno particolare medio si adatta alla realizzazione di questi strumenti?
“Non esiste un legno unico perché lo strumento è principalmente composto da tre parti, la tavola armonica che sta sopra, il legno con cui viene fatto il corpo dello strumento e il legno con cui viene fatto il manico. Per la tavola armonica il legno migliore è l’abete, l’abete rosso è il legno migliore e poi vengono usati anche altri legni sempre di conifera, abete bianco o cedro, qualcheduno usa qualche volta anche il cipresso però, per la stragrande maggioranza è l’abete. Per il corpo si usano legni duri, legni duri vuol dire legni da frutto o legname esotico tipo palissandro, mogano, legno duro anche come l’acero; per il manico siamo sugli stessi legni che si usano per il corpo, non necessariamente che siano uguali però girano sempre quelli: mogano e acero”.
Si può vivere economicamente con questa passione?
“Questa è una domanda a cui si risponde sì e no, nel senso che in Italia io dico di no. Ad abitare in un paese in cui c’è una tradizione di gente che suona questi strumenti come in Inghilterra, nelle isole britanniche, è assolutamente possibile. Poi dipende tutto da quello che uno vuole, diciamo che un liutaio difficilmente diventerà ricco. Però vivere è possibile. Se sei il numero uno nel tuo campo, vivi alla grande. Però se in Italia ci sono 10 gruppi che suonano la musica irlandese, una volta che hai venduto 10 bouzouki hai saturato il mercato. Tanti musici liutai magari fanno fatica anche a vivere; si riesce a costruire quello che piace ai clienti ed a riparare; la riparazione degli strumenti è quello che fa guadagnare soldi. Costruzione un po’ meno”.
C’è un momento della sua attività che ricorda particolarmente?
“Particolarmente o un momento unico e principale no; il momento più bello è quando metti le corde ad uno strumento che hai appena finito di costruire. Lo senti suonare, senti come va. Quello è sempre un momento particolare per me, di grande soddisfazione. Ho visto che vendere strumenti a persone conosciute anche così non ha un grande effetto sulla tua carriera. È lui che suona, è lui che fa la sua musica, riusciresti a vendere ai suoi fans, però mentre di chitarristi è pieno, può dirmi il nome di uno che suona un bouzouki irlandese?”.
È riuscito in famiglia a creare chi proseguirà quest’arte?
“Sì e no, ci stiamo lavorando, nel senso che mio figlio musicista si fa costruire gli strumenti qui e studia queste cose, mi aiuta perché c’è comunque dietro tutti questi strumenti una ricerca di tante cose, soprattutto per questi strumenti antichi; come erano costruiti, in che epoca erano costruiti, le tecniche che si usavano allora. Tutta una serie di cose che ho quasi dovuto, non dico ricominciare da capo, ma che mi sono trovato a dover gestire ed imparare nonostante avessi già fatto 300 strumenti: quando ho fatto il primo liuto, è stato come partire da capo, o quasi”.
Crede che i musicisti non conosciuti siano sufficientemente protagonisti nella società italiana?
“Assolutamente no. Una volta tra i ragazzi suonare uno strumento musicale era una cosa molto comune, adesso no. I ragazzi sono bravi a sentire la musica, a leggere: non vanno a cercare se c’è qualcosa dietro la musica, si fermano alla parte superficiale. Tanti mi portano gli strumenti da riparare e così io parlo e sento; si lamentano tutti perché al giorno d’oggi si suona la metà di quello che si suonava una volta”.
Valerio Gorla e Eugenio Finardi
Ha uno strumento da lei realizzato che ha acquisito maggiore prestigio e visibilità per la personalità a cui è stato affidato?
“No, però una storiella la posso raccontare. Tramite un amico, ho venduto uno strumento a Eugenio Finardi, un bouzouki irlandese, perché la mamma di Finardi è una irlandese, anche se nata a Manhattan a New York. Eugenio aveva questa voglia di ricerca, questa passione, e così si è comprato da me tramite il suo e mio amico, un bouzouki irlandese che so che ha, che so che presta in giro. Un anno l’ho visto alla “notte della Taranta”, che facevano in televisione. L’ha suonato un sacco di gente, però nessuno sa che l’ho fatto io. Inoltre non ricordo più adesso bene a quale Festival di Sanremo, ma solo io sapevo che era il mio perché l’ho visto. I miei strumenti hanno una “paletta” particolare e la forma in cima a dove ci sono le meccaniche. È la firma dello strumento, cioè o ci metti la scritta con il nome o siccome non in tutti gli strumenti è accettabile mettere la scritta con il nome, l’altra cosa è fare la paletta, ovvero la forma che ho fatto io e che uso solo io”.
Clicca qui per la nostra edicola digitale
Per restare sempre aggiornato con le nostre notizie,
puoi iscriverti gratuitamente al nostro Canale Telegram
oppure per i nuovi video pubblicati puoi iscriverti al nostro Canale Youtube