Il programma “Le Iene” è tornato ieri sera, 24 ottobre, a occuparsi del caso di Simone Mattarelli, il ragazzo di 28 anni trovato impiccato in un’azienda origgese dopo che la notte prima era stato protagonista di un rocambolesco inseguimento dei carabinieri da Lentate fino a Origgio. passando per numerosi comuni della zona, da Cogliate a Ceriano Laghetto, da Gerenzano a Saronno a Uboldo, come ricostruito nel servizio.
La famiglia: “Simone non si sarebbe mai suicidato”
Ancora una volta il taglio dato al servizio era quello dei dubbi sul suo suicidio, al quale la famiglia non ha mai creduto: “Simone non si sarebbe mai tolto la vita”, affermano il padre, la madre e il fratello, per nulla rassegnati all’archiviazione della Procura della Repubblica di Busto Arsizio, che ha rigettato la richiesta di riapertura del caso. Dal punto di vista investigativo non ci sono dubbi: Simone, come si legge negli atti, è morto per “asfissia acuta meccanica causata da un gesto anticonservativo”.
Morte di Simone Mattarelli: ecco cosa non quadra per la famiglia
La ricostruzione ipotizzata da Antonio Monteleone nel servizio intitolato “suicidio o qualcos’altro?”, molto accurata, mette in luce le discrepanze rilevate dalla famiglia, dall’avvocato e dal consulente di parte, la criminologa Roberta Bruzzone. In primo luogo la posizione con cui il ragazzo, che aveva assunto cocaina, si sarebbe tolto la vita: il giovane stava coi piedi per terra e la schiena appoggiata a un macchinario della ditta di Origgio; la cintura era annodata in modo semplice, non con un nodo scorsoio. Poi la mancanza di macchie di sangue sulla cintura, fatto strano visto che si era ferito a una mano scavalcando il muro della ditta; l’emorragia all’altezza dell’addome, rilevata dall’autopsia, probabilmente causata da una ginocchiata o da un calcio; c’è un soggetto che si vede di notte attraversare il piazzale dei capannoni con un borsone, mai identificato. L’avvocato della famiglia ha lamentato la mancata acquisizione dei filmati di tutte le telecamere (non sono stati visionati quelli che registravano gli ingressi in azienda); avrebbe voluto visionare l’elenco dei dipendenti, accertare la presenza degli antifurti e che si ascoltasse pure la testimonianza del custode.
Insomma, per i familiari di Simone una vicenda tutt’altro che chiusa: per questo non si rassegna e continuerà la sua battaglia per fare chiarezza.
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