Giovedì 15 gennaio, ha compiuto 80 anni un grande del calcio italiano, purtroppo dimenticato da molti, a cominciare dai media che pure dedicano grande spazio e risorse allo sport certamente più seguito in Italia. Un uomo che ha vinto tre scudetti e una Coppa dei Campioni da
calciatore, un campionato di Serie C e uno scudetto da allenatore. Gigi Radice oggi è malato di Alzheimer, vive nella sua casa in Brianza, seguito da specialisti e dalla moglie Nerina e dai figli
Ruggiero, Cristina ed Elisabetta. Nato nella vicina Cesano Maderno, mosse i suoi primi passi da promessa del calcio sul campo dell'oratorio di Ceriano Laghetto. Così raccontava di lui il
“Taccuìn cerianes” del 1981, in una pagina ripresa nell'edizione
di quest'anno. “Giugno 1952, una data che i papà e i nonni sportivi ricordano a memoria.
Fischiava ancora nelle orecchie l’eco della guerra, la Ceriano sportiva rispettando le sue fulgide tradizioni
aveva ricostruito la sua squadra di calcio. Prima modesta e semplice,
poi sempre più agile, poderosa e seguita. Dalla seconda alla Prima
Divisone. Fra questi giocatori la cui forma atletica
sembrava tagliata con la scure, una figura esile ma piena di volontà
vibrava. Un giovane che non avrebbe tradito le promesse stava
prendendo la forma ed il carattere. Quel giorno, forse il 23, Luigino
Radice fattosi giovanotto, scoperto il talento calcistico lasciava il
campo di zolle dell’Oratorio, per assaporare i terreni degli stadi
più vellutati d’Italia, d’Europa, del Mondo.
Un patetico Ceriano-Milan (1-2) suggellava il
lancio nell’orbita del pallone. Luigino per i pochi di Ceriano,
Gigi per tutti”.
Gigi Radice giocò dieci anni nel Milan, con due
brevi parentesi nella Triestina e nel Padova, coi rossoneri vinse i
tre scudetti e la Coppa dei campioni nel 1963, indossò molte volte
la maglia della Nazionale e partecipò ai Mondiali in Cile nel 1962.
Una carriera in cui non mancò la sfortuna, con tre rotture del
menisco. Con lui, ricordava il Taccuìn, sul campo dell'oratorio
giovavano “i vari “Gino Rusin” “Papera” “Valter” “Amerigo” “Tanin” “Pagnin” “Lanzani” “I fratelli Redolfi” ed altri che ora sfuggono allenati dal Sig. Lugoboni”.
Dopo la carriera da giocatore, quella di allenatore, del Monza, che portò a vincere il campionato di Serie C
e, soprattutto, del Torino dello scudetto 1976. Caparbio, tenace,
corretto, rispettato, personaggio di un mondo del calcio d'altri
tempi, che però è stato dimenticato, come ha avuto modo di
denunciare la famiglia, nel momento in cui ha conosciuto la malattia,
una decina d'anni fa, fino a farsi sempre più invadente. Tanta
amarezza che traspare nelle interviste della signora Nerina, l'ultima
delle quali ospitata ieri sulle pagine de “Il Giorno”. “E'
rimasto solo l'affetto dei tifosi, in particolare quelli del Toro”
-ha raccontato.
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