
Quattro ragazzi di Bollate, tutti tra i 20 e i 23 anni, lo scorso mese di agosto hanno rinunciato alle loro vacanze per andare a lavorare in missione in Africa. Una scelta coraggiosa, che tuttavia li ha arricchiti profondamente, come loro stessi ci hanno spiegato quando, nei giorni scorsi, li abbiamo incontrati nella sede del Notiziario per farci raccontare la loro esperienza.
I quattro protagonisti di questa esperienza sono Susanna Bin, Alberto Di Benedetto, Lorenzo Beretta e Roberto Mitrano, tutti di Bollate e tutti appartenenti al gruppo missionario che ruota attorno alla parrocchia San Martino. Susanna si è recata in Etiopia, gli altri tre in Costa d’Avorio.
Come è nata questa vostra scelta?
“Abbiamo partecipato ai corsi dei missionari cappuccini – ci spiegano – , cinque incontri in cui gente che è già andata in missione porta la sua testimonianza preparandoti a ciò che puoi trovare. Alla fine del corso puoi scegliere se partire o no”.
Avete scelto voi la meta? “Sì, l’ultimo giorno ti dicono quali mete sono possibili, dopo di che puoi scegliere: dal Brasile all’India, dalla Thailandia al Camerun, dal Kenya al Guatemala. La scelta è influenzata da quello che devi andare a fare: in alcuni casi vai in ospedale, in altri con i bambini o con le persone disabili…”.
Alberto, Lorenzo, Roberto, com’è stata la vostra esperienza in Costa D’Avorio?
“Siamo andati a fare animazione per i bambini. Siamo arrivati nella capitale, poi ci siamo spostati a Zouan- Hounien, che è a 500 chilometri, un villaggio che è quasi una città, dove c’è un grande convento. In quel periodo è importante seguire i bambini perché la famiglia è nei campi a lavorare. I bambini arrivavano alla mattina verso le 9,30, i frati gli tenevano le lezioni e noi li seguivamo, nelle pause facevamo dei giochi e intrattenimento”.
Come avete trovato la situazione lì?
“Lì era bellissimo rispetto a quello che c’era fuori, perché quando abbiamo visitato altri villaggi abbiamo visto che non hanno niente. Lì era diverso…”.
Come esperienza cosa vi ha dato?
“Di solito quando si va in Africa si dice che quando torni è più ciò che hai ricevuto di quello che hai dato, in effetti è stato davvero così, è un’esperienza che vorremmo ripetere e la rifaremo di sicuro”.
Cosa c ’ è di diverso rispetto a chi intrattiene i bambini i n Italia?
“E’ diverso, sono bambini che non hanno nulla e non si lamentano mai per quello che non va. Il semplice sorriso che ti fanno è qualcosa che ti arricchisce”.
Susanna, come mai tu hai scelto l’Etiopia?
“La mia idea iniziale era di andare in Camerun, poi non è stato possibile per cui, visto che faccio parte del ‘Seme della speranza’ e alcuni avevano fatto l’esperienza in Etiopia, ho scelto quella. E’ un Paese stupendo con una natura ricchissima. Siamo atterrati nella capitale e subito ho notato una diseguaglianza sociale impressionante: la ricchezza con i grattaceli moderni e accanto le baraccopoli. Con i bambini di strada. La missione era a Dubbo, un villaggio nella regione del Volaita, 500 chilometri a sud. Noi alloggiavamo dai frati e lì facevamo animazione con i bambini ma alla mattina insegnavamo anche a scuola: d’estate c’era un corso libero di Inglese e Italiano e noi insegnavamo”.
E a te che cosa ha dato questa esperienza?
“Sicuramente quando sei là ti rendi conto che ti danno tanto. Questa esperienza mi ha fatto pensare: noi ci lamentiamo per la crisi, ma in realtà abbiamo tanto. Lì sanno apprezzare molto di più anche se hanno molto meno”.
Alberto è geometra, Roberto studia fisioterapia, Lorenzo studia informatica, Susanna S c i e n z e d e l servizio sociale. Abbiamo chiesto loro quanto questa esperienza sia stata utile anche nel loro lavoro o nei loro studi.
“Può aiutarmi nei miei studi in ambito sociale specie se avrò a che fare con gli immigrati”, ci spiega Susanna.
Roberto ci dice: “Studiando fisioterapia, sicuramente ho avuto modo di vedere alcune situazioni che mi hanno potuto arricchire”.
Lorenzo invece ci spiega che “ non l’ho fatto pensando ai miei studi, l’ho fatto per arricchirmi dal punto di vista umano”.
Infine Alberto, che già lavora: “Oltre all’aspetto umano, riscontrare diversità a livelli edili è stato interessante, poi ho visto tante tipologie diverse di edifici in base alla ricchezza”.
Ci volete tornare?
Roberto: “Sì e nello stesso posto perché è come se avessi fatto un patto con quei bambini. Lo vedo quasi come un dovere nei loro confronti, per il clima che si è creato”.
Lorenzo: “Anch’io voglio tornare nello stesso posto, per rispetto non solo ai bambini ma anche ai frati. Se tornerò, sarà sicuramente lì”.
Susanna: “L’esperienza è stata stupenda e per questo tornerei, però c’è il rischio che dopo un’esperienza così bella magari non va altrettanto bene… La mia curiosità mi spinge ad osservare anche altre realtà”.
Alberto: “Io vorrei tornare, ma da qualche altra parte. Ci siamo trovati benissimo, però voglio provare qualcosa di diverso”.
Se qualcuno volesse avvicinarsi a questa esperienza, può contattare i frati cappuccini attraverso il sito www.missioni.org. I corsi cominciano a gennaio e non sono impegnativi: un sabato ogni 15 giorni. E sono aperti anche ai non credenti.
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