Bollate: Andrea Spiriti, l’arte come amore e passione.
Il territorio bollatese possiede grandi risorse dal punto di vista umano. Tra esse vi è senza alcun dubbio Andrea Spiriti, docente universitario, direttore di musei nonché autore di numerose pubblicazioni. Un personaggio, Spiriti, che affascina il pubblico quando tiene conferenze sulla storia dell’arte, ma che ha anche tanto altro da raccontare. Noi lo abbiamo intervistato.
Come e quando nasce il grande interesse per l’insieme “arte”?
“Intorno ai cinque anni, dapprima con taglio archeologico-artistico, poi a dieci anni con il primo viaggio a Roma”.
Quando la decisione che il tema dell’arte sarebbe divenuto motivo di lavoro? “Durante le elementari”. In famiglia concordavano?
“I miei genitori non mi hanno mai spinto a decisioni, ma quando hanno colto questa vocazione mi hanno sempre favorito, sia con visite domenicali sia con itinerari (da me programmati) prima in roulotte e poi in camper per l’Europa e l’Asia”.
Qual è il suo particolare interesse del vasto mondo artistico?
“Sul piano cronologico, Manierismo, Barocco, Rococò, ossia da metà Cinquecento a metà Settecento. Sul piano topografico, gli artisti dei laghi lombardi dal V al XXI secolo. Sul piano metodologico, la lettura iconografica e iconologica e il nesso con le vicende storiche”.
Come definirebbe l’arte?
“Potrei cavarmela con “Una menzogna che ci aiuta a capire la verità”, ma plagerei Picasso; direi che è una riflessione fattiva sulla realtà”.
Qual è secondo Lei la linea che divide una grande da una piccola o mediocre opera d’arte? “Due fattori distinti: da un lato quello puramente tecnico-qualitativo, ossia la capacità di esprimersi in un linguaggio “alto” che travalica i secoli; dall’altro la possibilità di esprimere il senso di un’epoca, un intero sistema valoriale e di lettura della realtà”.
Qual è il secolo storico che per lei ha espresso più “genialità” artistica?
“In assoluto tutti, è solo questione di aree e di materiali. Poi ci sono problemi specifici: ad esempio, la grande Irlanda è quella fra settimo e decimo secolo”.
Un breve abstract del curriculum di Andrea Spiriti?
“Dopo la laurea in Lettere Classiche, sono stato, spesso in contemporanea, docente di liceo, incaricato universitario, direttore di centri di cultura, direttore di musei, funzionario di Soprintendenza. Dal 2001 sono Associato e poi Ordinario all’Università dell’Insubria, coordino il Museo Giovanni Paolo II a Varsavia e sono “studioso di riferimento” all’Università Autonoma di Madrid. Ho pubblicato circa quattrocento fra volumi, saggi e contributi”.
I giovani e l’arte: come pensa che la percepiscono?
“C’è molta difficoltà, con le dovute eccezioni. In parte per la latitanza delle famiglie, in parte perché l’istruzione è avvertita come obbligo, in parte perché si crede (a torto) che l’arte contemporanea sia più “facile”, in parte perché vivono in un paese che spesso disprezza la cultura e spinge all’acquiescenza nell’ignoranza”.
Le nuove frontiere dell’arte?
“L’arte, per definizione, da un lato si evolve e da un lato si ricicla; ed è fenomeno potenzialmente leggibile come destinato a prolungarsi tanto quanto l’umanità”.
Cosa ne pensa dell’arte concettuale, o quella della la Crypto e NFT se non dell’arte digitale in generale ecc..?
“Ottime vie, all’interno di un problema più vasto. Quando il nesso fra arte e realismo che, bene o male, aveva retto per millenni è venuto meno (e la rottura non è il 1860 ma il 1910, non l’Impressionismo ma il Surrealismo e l’Astrattismo), cade il criterio tradizionale di “bello” e si pongono nuovi parametri che, in parte, stiamo ancora assimilando. Da qui l’interesse a volte acritico come i rifiuti dogmatici (“non si capisce niente” o “lo saprei fare anch’io”)”.
Come la fede può condizionare il valore dell’arte?
“Ovviamente l’arte classica vede una presenza massiccia del sacro; le arti cristiana e islamica medioevali (ossia le eredi fraterne di Roma) sono decisamente sacre; l’arte moderna è spessissimo arte sacra. Con la fine dell’Ottocento (ed è fenomeno graduale) la perdita del primato sociale del sacro crea una crisi, che porta a due conseguenze ovvie: da un lato la perdita delle capacità di committenza (e di gusto) della Chiesa; dall’altra l’orientamento della riflessione teologica e quindi della prassi pastorale molto più sull’estetica che sul significato storico dell’arte”.
Come la pandemia ha inciso, se ha inciso, nei suoi personali obiettivi?
“Far lezione a distanza è stato triste e povero. Non accedere alle biblioteche (“su Internet c’è tutto è una delle peggiori menzogne della contemporaneità”) disastroso. Fare convegni a distanza, sgradevole”.
Un episodio, un evento positivo che ha inciso nella sua vita prima di uomo poi di persona dedita all’arte?
“Il Giubileo 1975: la prima visita a Roma”.
Un episodio che invece è meglio dimenticare?
“Il rogo parigino di Notre- Dame”.
Come vede evolversi la relazione studente/ docente dai primi suoi anni di insegnamento ad oggi?
“Mancano sempre più dati di cultura minimale comune (la “cultura da settimana enigmistica”) e manca drammaticamente la lettura: nel nostro paese si legge meno di un libro a testa all’anno. Sul piano umano è sempre bellissimo, anche se è cambiato il nesso anagrafico: io ho iniziato a 23 anni con ragazzi di 17/18, ora a 57 anni ho di fronte dei diciannovenni…”.
I suoi obiettivi per il prossimo futuro?
“Sul piano accademico, non posso progredire essendo al massimo possibile. Su quello scientifico, la mia squadra ed io abbiamo molti progetti; quello a cui tengo di più è un volume globale sugli artisti dei laghi lombardi, sulla loro presenza massiccia in Italia, in Europa e nel mondo”.
Primo impegno nel 2023?
“Il secondo libro su Castiglione Olona, la prima città ideale dell’Umanesimo”.
Cosa è cambiato negli ultimi anni?
“La morte nel 2021 di mia moglie Cristina Atzeni Spiriti, che all’amore trentennale ha saputo unire un continuo dialogo scientifico”.
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