Bollate: condanne definitive per il blitz al blindato, compiuto a Cascina del Sole nel 2016. Il nome di una fidanzata e un dito storto hanno incastrato i nove “uomini d’oro”.
La Corte di Cassazione settimana scorsa ha reso definitive le condanne alla banda di rapinatori che il 15 ottobre del 2016 aveva messo a segno un colpo clamoroso in territorio bollatese: aveva dato l’assalto a un furgone portavalori che stava trasportando gioielli della collezione di Bulgari dal deposito di Paderno Dugnano all’aeroporto di Malpensa.
Il carico di gioielli valeva quattro milioni di euro, i banditi colpirono sulla rampa di accesso alla Rho-Monza di Cascina del Sole, bloccando il mezzo blindato (e tutto il traffico di auto che stavano imboccando la superstrada), tagliando la lamiera del furgone e impossessandosi in pochi minuti di gran parte del prezioso carico.
In occasione della sentenza definitiva, sono stati resi noti diversi dettagli su come la sezione antirapina della Squadra Mobile è riuscita a risalire alla banda di malviventi pugliesi che aveva messo a segno il colpo. C’erano diversi testimoni, c’erano alcuni identikit sommari, c’era anche una traccia del sangue di un bandito feritosi sul luogo dell’assalto, ma non si sapeva a chi collegarli.
Bollate, condanne per il blitz al blindato: le indagini
L’indagine partì risalendo a tutte le utenze telefoniche che al momento dell’assalto erano collegate alla cella vicina alla rampa della Rho-Monza. Erano centinaia, ma subito emerse che alcune di essere erano state attivate in provincia di Taranto. Si approfondì e si scoprì che erano intestate a dei prestanome.
Evidentemente erano i telefonini dei banditi. Ma ancora non si sapeva chi fossero i malviventi. I telefoni furono messi sotto controllo e in una telefonata due settimane dopo il colpo fu fatto il nome della fidanzata di un noto rapinatore pugliese. Fu quello l’elemento che consentì di trovare la prima traccia.
A quel punto cominciarono a controllare una serie di malviventi che potevano essere collegati a quell’uomo e scoprirono che uno di essi durante la rapina impugnava un kalashnikov con un leggero difetto a un dito, difetto che era stato immortalato anche in un’altra occasione.
Era dunque lui uno dei banditi. A quel punto riuscirono a collegare anche il Dna ricavato dal sangue con quello di un altro bandito del gruppo, mentre scoprirono che un altro dei soggetti messi sotto controllo indossava le stesse scarpe usate durante la rapina.
Incastrarono un altro ancora grazie a una telefonata all’amante, mentre pian piano si riusciva a far coincidere gli identikit coi volti dei sospettati.
Insomma, un lavoro certosino durato più di un anno, ma alla fine gli investigatori riuscirono a dare nomi e cognomi a tutti i nove uomini che parteciparono all’assalto. E adesso sono arrivate le condanne definitive che vanno da 5 anni e un mese a 8 anni e sei mesi.
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