Bollate, Gullo e il suo romanzo contro le mafie.
“Ci sono stati uomini che sono morti giovani ma consapevoli che le loro idee sarebbero rimaste nei secoli” così, nel 2007, Fabrizio Moro cantava nella sua canzone “Pensa”.
Un grido di libertà universale per tutte quelle persone che ancora oggi credono nel futuro del genere umano. Un altro grido di libertà viene dalla sintassi di “Noi siamo la cura”, romanzo ibrido tra inchiesta e sentimentale di Stefano Gullo, autore 26enne bollatese, presentato sabato 27 maggio alla Biblioteca comunale di Bollate, alla presenza di Carolina Nizzola, moderatrice dell’incontro, consigliere comunale e giovane avvocato, e Lucia Albrizio, assessore alla cultura.
Il giovane autore ha raccontato che il libro è nato come bisogno di conquista di uno spazio d’ascolto.
Un atto di volontà inaspettato – quando era in Australia nel 2019 ha iniziato per caso a documentarsi sulla ‘ndrangheta – che lo ha col tempo portato a maturare una forma di consapevolezza verso la legalità e verso alcune storie di sangue negli anni più bui della nostra Repubblica.
La storia, raccontata dal punto di vista di Leila, narra le vicende sue e di Christian, giovani e ambiziosi protagonisti che, rifiutati e delegittimati dalla società del paesino in cui vivono, decidono una scalata sociale attraverso le gerarchie dell’Onorata Società, vero nome con cui gli affiliati si autodefiniscono nell’organizzazione.
Tra sentimento, gesti di tenerezza e amore incondizionato tra i due ragazzi, si apre uno squarcio di realtà giudiziaria e storica criminale della Calabria, che li porterà a scommettere sul tavolo da gioco la vita stessa. Vita spregiudicata, che pagina dopo pagina aumenta la presa attorno al collo dei due protagonisti, costringendoli a fare i conti con le loro scelte che, per dirla come Nietzsche, li hanno trasformati in mostri perché hanno guardato troppo a lungo l’abisso.
Il proposito che si augura Stefano Gullo è non avere timore di dire la propria opinione, rispettando la realtà dei fatti e continuando a inseguire quello spazio d’ascolto che ognuno di noi, nel quotidiano, è chiamato a cercare e proteggere nel nome del proprio futuro, svincolato dal male e dall’odio perché, volendo riprendere Leopardi, “Il genere umano non odia chi commette il male, né il male stesso, quanto chi lo nomina”.
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