Garbagnate, alla scoperta del maestro Michele Santoro, scultore.
Un artista garbagnatese, Michele Santoro, che il Notiziario ha voluto conoscere meglio andando a incontrarlo e intervistarlo.
Chi è Michele Santoro?
“Non avrei mai pensato che, alla mia età, qualcuno potesse interessarsi a me e alle mie sculture. Un mio amico vicino di casa, Domenico, molto attento all’arte in generale, mi ha fatto conoscere lo scultore Vito Mele, noto per le sue opere in Italia ed all’estero e per le sue collezioni di opere d’arte di autori famosi. Prendendo visione delle mie opere, mi ha fatto incontrare l’emerito giornalista Padelli che ha guidato la mia intervista. Premetto che non amo mettermi in mostra: sono schivo e riservato. Mi chiamo Michele Santoro, nato a Monte Sant’Angelo (Foggia), il paese dell’arcangelo Michele apparso per la prima volta nel 492 in una grotta umida ed intervenuto molte volte per proteggere gli abitanti in numerose calamità”.
Com’è nata la vocazione artistica?
“Sono cresciuto nella bottega di mio padre falegname. Qui ho potuto imparare dai suoi discepoli la sua arte. Non da lui che invece mi diceva “Tu non devi fare l’asino come me”. Tuttavia i suoi lavori erano apprezzati, ritenuti capolavori! Perchè non ho seguito le sue orme? Perchè a quel tempo si faceva la fame e nel paese c’erano tanti falegnami che si contendevano il lavoro. Mi è sempre piaciuto disegnare, fin dalle scuole elementari ed il mio maestro mi faceva riprodurre figure di santi sull’unico quaderno e sulla lavagna. A quel tempo la scuola era molto punitiva, rigorosa, si usavano le botte. Anche alle scuole medie, all’intervallo, disegnavo figure di animali, paesaggi o personaggi. Proprio perché disegnavo fui sospeso in seconda media per una settimana perché una ragazza in una pagina vuota del libro di sintassi trovò disegnate delle figure oscene. Ancora oggi, che sono vecchio, mi porto quell’ingiustizia: non ero stato io, ma il suo spasimante che non frequentava la mia scuola. In bottega mio padre non mi faceva usare gli ‘sgorbi’: erano molto taglienti. Ma quando non c’era nessuno ne approfittavo e li adoperavo per scolpire il legno.
Lo scultore Michele Santoro di Garbagnate
Dopo la licenza media avrei voluto frequentare il liceo artistico a Napoli. A papà sarebbe costato 35 mila lire al mese. Così, poichè a suo tempo il mio paese era servito di scuole superiori, intrapresi la scuola magistrale. Comunque ho sempre frequentato la falegnameria e, quando consegnavo gli infissi, lasciavo sempre il mio segno sui muri ancora vuoti: gli ex voti erano la mia passione. Ho sempre desiderato che me li ordinassero, cercando di raccontare le disgrazie ed il miracolo del protettore. Sono stato un autodidatta. Quando poi ci trasferimmo a Milano, frequentai l’accademia di Brera dove ritraevo il nudo. Erano tempi in cui per mangiare bisognava lavorare su più impieghi e non c’era tempo per l’arte. Avevamo lasciato la miseria nera, con il quaderno della spesa da estinguere, anche facendo lavori extra. Inoltre trovare casa, lavoro e integrarsi in Lombardia era molto difficile, perchè si pensava che noi meridionali, non italiani, rubassimo il lavoro. L’industria poi ha dato il lavoro a tutti”.
Quali sono i criteri che Lei giudica idonei per valutare il valore di quanto ha realizzato?
“Mi piange il cuore ogni volta che devo bruciare un legno nel camino, un tronchetto di qualsiasi natura. E’ come se bruciassi una parte di me. Il maestro Geppetto sentì tanta sofferenza quando a Pinocchio si bruciarono i piedi: a me capita lo stesso, mi viene da piangere e penso cosa sarebbe potuto nascere se l’avessi scolpito. Il legno vive a toccarlo, dà calore ed ancora di più offre compagnia ed ammirazione se da esso nasce una scultura, una figura, una composizione da poter guardare. Il pezzo di legno con le sue forme ci ispira immagini di animali, volatili che combattono tra loro, persone vissute in altri periodi di vita della storia antica, gli egiziani, i greci, i romani. Le immagini poi le vedo sui muri, sulle pareti di casa, sulle piastrelle e, chiudendo gli occhi, mi vengono incontro moltitudini di persone mai viste, che potrei disegnare subito riaprendoli. Il legno ed il sasso mi danno l’ispirazione secondo la loro conformazione naturale. Da un tronco non ricavo un soggetto ma infiniti fino al completamento del tronco. I soggetti sono già dentro di loro, basta tirarli fuori, poi vengono come mangiare le ciliegie. Mi sarebbe piaciuto vivere nel periodo aureo rinascimentale, in una città come Firenze o in altre città dove c’erano botteghe e maestri come il Ghirlandaio, il Perugino, Leonardo e Raffaello. Lì si sono formati ed hanno superato il maestro. Frequentando la bottega di mio padre, ho osservato gli intagliatori ed ho appreso da loro la tecnica dell’intaglio”.
Quanto è diverso esprimersi con la scultura e/o con la pittura?
“Mi piace di più la scultura Raffaello criticava Michelangelo perché nella scultura era sempre sporco. Mentre lui creava dei capolavori con il pennello senza sporcarsi. Il parroco Don Angelo [Garavaglia] mi commissionò una scultura dedicata al cardinale Schuster e volle che fosse esposta in chiesa perché rimase tanto affascinato dal racconto scultoreo. Le mie sculture non hanno un termine, vorrei sempre migliorarle: guardandole e riguard a n d o l e mi accorgo che seguono un filo logico ma possono essere perfezionate. Nella scultura non puoi sbagliare, quello che togli non lo puoi rimettere, mentre nella pittura puoi correggere. Nella scultura puoi considerare l’opera in tutte le dimensioni, puoi toccarla da tutti i lati, ammirare il soggetto da tutte le angolazioni mentre nella pittura devi creare delle ombre perchè la figura possa essere visibile. Scultori e pittori vorrebbero raggiungere la perfezione del creato ma essa già esiste, donata da Dio all’uomo e l’uomo cerca, con la sua passione e la sua forza di volontà, di raggiungerla”.
A quale artista noto si avvicina maggiormente?
“Lorenzo il Magnifico era un mecenate: accoglieva in casa sua i grandi talenti e li lasciava liberi. Essi creavano capolavori di arte pittorica e scultorea. L’artista dava anima e corpo a creare. Non aveva pensiero su come procurarsi da vivere. Io mi sento in colpa per non essermi dedicato completamente alla scultura e alla pittura. Alcune delle mie poche sculture le ho regalate senza pretendere nulla in cambio, accontentandomi della loro schietta critica. Che bello!”.
Che cosa ama maggiormente rappresentare?
“Mi sono fatto fotografare accanto alla scultura del Cristo piangente, incoronato di spine perché, quando lavoro, è il Nostro Signore che mi spinge la mano ed a creare: Lui è in me. Penso che Dio, alla nostra nascita, ci regali delle capacità: basta saperle coltivare fidandosi di qualcuno che ti sappia guidare alla scoperta delle proprie vere tendenze ed avere accanto qualcuno che ti sappia capire ed incoraggiare. Ma non è così semplice”. Quale messaggio trasmette ai giovani? “Se un giovane ha delle qualità artistiche, gli ricorderei che, per arrivare alla vetta, deve applicarsi seriamente con grinta, serenità e gioia. Il lavoro così gli sarà meno duro, proficuo e gratificante”.
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