Martedì ho partecipato a una serata intensa e frastornante, un incontro con Adriana Musella, il cui padre fu dilaniato dal tritolo mafioso nel 1982, e Giulio Cavalli, artista che da anni denuncia i soprusi della criminalità organizzata.
Due ore palpitanti in cui questi combattenti, che lottano contro la mafia e vivono sotto scorta, hanno raccontato un'Italia che non si vede nei telegiornali. Ne sono uscito ferito e perplesso. Ferito dalle parole taglienti dei due protagonisti, che hanno spiegato come la mafia sia radicata tra noi e che noi stessi la alimentiamo ogni volta che ci giriamo dall'altra parte davanti a un sopruso; perplesso nel sentir dire che la mafia è molto infiltrata nelle istituzioni, che i boss che in tv vediamo arrestati dalle forze dell'ordine sono quasi tutti fuori dalla galera, che la rigidità di un tempo si è allentata, che parlare di antimafia oggi dà quasi fastidio, come se fosse un qualcosa da lasciare tranquillo.
Ho avuto l'impressione, dopo quella serata, che in Italia viviamo in un grande “Truman show” dove ci fanno vedere solo quello che vogliono, dove ci fanno credere una realtà diversa da quella che è la verità, dove i morti per mafia si dimenticano in fretta, dove ci illudono che i boss alla Totò Riina siano i veri capi mafia, mentre i veri capi sono ben altri, con ben altro livello culturale.
Ho avuto la sensazione che l'Italia sia un Paese malato fino alle radici, che non ci sia speranza. A meno che tutti cambiamo, che usciamo dalla logica delle raccomandazioni, delle scorciatoie e dei favori, per diventare uomini e donne veri. Ma questo oggi è solo un sogno, sono solo parole.
Piero Uboldi
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