Mercoledì mattina la mia giornata si è illuminata quando, ascoltando il telegiornale delle 7, ho sentito il ministro Di Maio dire finalmente una cosa che per anni sembrava quasi proibito affermare. Ha detto: “Uno non vale l’altro”. Dio Santo!
Finalmente qualcuno che lo dice! Sì, perché per anni, prima sull’onda di un certo catto-comunismo populista e poi sull’onda del cinquestellismo, spadroneggiava la dottrina che “Uno vale uno”, ossia che tutti hanno lo stesso diritto di dire la loro, di avere incarichi e di prendere le decisioni.
Tutti, dal tossicodipendente al Premio Nobel, dallo scansafatiche all’ingegnere.
Tutti uguali nel nome di una logica assurda che vuole mettere sullo stesso livello chi studia, chi si applica, chi è puntuale, chi è coerente e chi è onesto con chi è pigro, chi ruba, chi si droga, chi imbroglia e chi è incoerente.
No, non è giusto che sia così. Io penso che un giovane che si impegna a studiare, a lavorare o a fare volontariato abbia molto più diritto di essere ascoltato e preso in considerazione di chi, accampando le solite scuse, non si impegna a fare nulla per la società.
Uno non vale uno, lo diceva con convinzione anche Umberto Eco, ma nessuno sembrava ascoltarlo.
Finalmente l’ha detto Di Maio, uno di quelli che per anni ha sostenuto questa assurdità. Ora si è reso conto che non è vero, che bisogna premiare la meritocrazia e dare più credito a chi dimostra di impegnarsi. Grazie, perché solo così l’Italia può migliorare
Piero Uboldi
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