Cesate come barrio di Buenos Aires, almeno per i 120 minuti e più della finale tra Argentina e Francia. Perché c’è una comunità sudamericana che a queste latitudini ha vissuto quel che succedeva prima in Qatar, poi nell’emisfero australe. Tra caroselli e bandiere albiceleste per il centro della capitale, con un milione e più stretti attorno all’obelisco. Argentina campione del mondo per la terza volta, dopo i successi del 1978 e del 1986.

Mondiali a Cesate: “La vittoria dell’Argentina? Pastiglia contro il raffreddore”
Villaggio Ina come Savedra, lunfardo imbastardito dalle vocali aperte alla milanese, dulce de leche che fa posto alla Nutella. Dopo 36 anni di Italia, l’Argentina c’è e ci sarà sempre. Ma in Emilio Roberto Rickevicius, “c’è solo il 10% dell’argentino che ero, quando nel 1991 sono arrivato in Italia“. Una constatazione, ma anche un amara confessione da farsi allo specchio, ora che il trionfo del Mondiale è sì vittoria di popolo, ma anche di una gente diversa da quella che si è lasciata. “La vittoria dell’Argentina al Mondiale è stata un’allegria enorme“, confessa Emilio, 75 anni. Quasi metà dei quali, ormai, vissuti al di qua dell’oceano.
Leggi anche FRANCO ORDINE: “FRANCIA ATTRAENTE, MESSI DETERMINANTE”
“Ho visto gli argentini festeggiare, da Jujuy alla Patagonia: gente in strada, in festa. Eppure, è stata come una pastiglia per un raffreddore: perché la verità è che perché un futuro l’Argentina non ce l’ha. Ora è estate e la gente dorme nelle stazione ferroviarie, c’è grande povertà. E quando tornerà il freddo, cosa faranno? Mi dà molta tristezza vedere queste cose. Sarà per colpa della mia età, ma mi immedesimo molto nelle persone anziane che fanno fatica e che vivono situazioni di difficoltà. Ma poi penso che i problemi sociali che ci sono in Argentina sono anche figli delle scelte democratiche che sono state fatte e di una classe dirigente che è stata eletta dal popolo, nonostante la corruzione che l’ha contraddistinta. L’Argentina ha scelto di isolarsi dal mondo e quando il mondo non ti guarda è anche più facile procedere con operazioni poco trasparenti”.
Argentina campione, Emilio e la sua “alegria tremenda”
Una consapevolezza di quel che accade, una visione che non raffredda l’entusiasmo ma non scalda neanche il cuore fino in fondo. “Del resto”, continua Emilio, “ricordo anche i due precedenti Mondiali vinti. Nel 1978 si era in un altro periodo triste per il Paese, con la dittatura militare e i desaparecidos. Ma l’Argentina è una Nazione di calcio, come l’Italia, la Francia o la Spagna. E anche in quel caso ci fu ‘una alegria tremenda’ – pronunciata rigorosamente con una sola elle -. Sì, si festeggiò, ma con prudenza: io ero già sposato e fui cauto, limitandomi a un giro in Fiat 600 con mia moglie. Mi sono sempre preoccupato di lavorare, nessun colpo di testa o esagerazione”. Nel 1986, poi, il bis iridato: “E lì avevo i figli, quindi stesso approccio. Io del resto sono più un tifoso del calcio, del gesto tecnico, più che della squadra o del giocatore. Penso alla bellezza del Manchester City di oggi, tanto per dirne uno. Il Mondiale dell’86 fu il Mondiale di Maradona, che non aveva ancora cominciato a farsi consumare dalla droga. Oggi si parla tanto del confronto con Messi, ma credo che calcisticamente parlando Maradona sia stato superiore. Era un leone. Certo, si parla di epoche diverse. E oggi Messi deve essere contento che si parla tanto di lui, nonostante abbia già 35 anni”.
A Cesate la milonga di sentimenti per l’Argentina che non è
Dopo il successo di Doha, Emilio ha guardato in tv ciò che le emittenti argentine raccontavano. Si è scambiato whatsapp con gli amici di un tempo, nella terra natale. “Dopo la pandemia, che in Argentina ha provocato tantissime vittime, la gente vive questo successo come una liberazione. Anche chi non ha da mangiare è sceso in strada a far festa ed esultare. Con i miei amici, che sono anche miei coetanei, abbiamo però avuto un po’ la stessa reazione di felicità e distacco”. Parole profonde e sofferte, una milonga di sentimenti. “Perchè subito qualcuno ha pensato bene di proporre una giornata di festa nazionale, una giornata senza lavoro. Io mi chiedo come sia possibile pensare a questo, in quella situazione difficile. L’Ucraina, in guerra da 10 mesi, continua a produrre cereali. L’Argentina, che è campi sconfinati e tanta carne, fa fatica a produrre quel che potrebbe. Ecco, è questo il mio dispiacere. Sono felice per il Mondiale, ma mi rattrista vedere quel che potrebbe essere e non è”.
Stefano Arosio
Leggi ilNotiziario anche da pc, smartphone e tablet. Clicca qui per la nostra edicola digitale
Clicca qui per la nostra edicola digitale
Per restare sempre aggiornato con le nostre notizie,
puoi iscriverti gratuitamente al nostro Canale Telegram
oppure per i nuovi video pubblicati puoi iscriverti al nostro Canale Youtube