Renzo Comi, garbagnatese, è stato uno dei più storici sindacalisti dell’Alfa Romeo, azienda che ad Arese Comi ha visto praticamente dalla nascita fino alla sua morte. Il sindacato in Alfa Romeo è stato a lungo una forza decisiva, secondo alcuni l’eccessiva sindacalizzazione è stata uno dei motivi del declino. Ma è vero? Noi ne abbiamo parlato proprio con Comi.
La storia dell’Alfa Romeo di Arese, vista da un sindacalista
Chi è Renzo Comi?
“Ho fatto la scuola aziendale in Alfa Romeo al Portello (la vecchia fabbrica a Milano) poi dopo due anni, finita, mi hanno mandato presso l’officina nel primo capannone del nuovo stabilimento in costruzione ad Arese, mancavano ancora molti capannoni, i piazzali ad est (dove poi costruirono le meccaniche e la ricambi) erano pieni di vetture Renault di fascia bassa (Dauphine e R4) che potevano essere acquistate dai dipendenti con sconto per accordo Alfa-Renault. Sono arrivato nell’ottobre del 1965 in un reparto professionale , la Dipro-Aus dove si costruivano e riparavano stampi ed attrezzature e ho iniziato la mia attività come operatore sulle macchine utensili (principalmente fresatore). Dopo il periodo di prova (era la prassi) mi sono iscritto al sindacato come semplice giovane lavoratore sapendone poco”.
Come è avvenuta la formazione da sindacalista?
“In quegli anni era in atto un cambiamento radicale del modo e delle strutture di base e del come fare sindacato: si stava passando dalla vecchia struttura della Commissione interna, ormai obsoleta non più al passo con l’organizzazione del lavoro nelle fabbriche, alla nuova struttura molto partecipativa: i consigli di fabbrica. Mi hanno eletto delegato di reparto e ho frequentato diversi corsi di formazione sindacale ….ricordo (durante le ferie estive) i corsi residenziali a S. Pellegrino Terme dove ho conosciuto ministri, economisti, storici, docenti, cattedratici, giornalisti di prestigio che intervenivano su vari temi come relatori o moderatori alle tavole rotonde”.
Vi erano svariati sindacati: quali erano gli elementi unificanti, quali invece quelli che vi dividevano?
“Per un decennio c’erano solamente i 3 sindacati Confederali (il loro ramo metalmeccanico) Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm-Uil, originariamente l’aggregazione era politica prioritariamente cattolici e/o democristiani, socialisti e comunisti, socialdemocratici. Si aprì in quegli anni il dibattito sull’incompatibilità perché il sindacato non poteva essere la cinghia di trasmissione dei partiti, nella Fim entrarono molti giovani, lavoratori/studenti e divenne più innovativo e creativo mentre gli altri due sindacati rimasero più tradizionalisti. Non c’erano sostanziali spaccature, c’era una buona dialettica nel Consiglio di fabbrica ma poi si decideva con votazione a maggioranza e le decisioni si rispettavano. Successivamente sono nate altre sigle e gruppi, in contestazione e spesso in contrapposizione ai 3 sindacati Confederali (alle quali stava stretto applicare le decisioni della maggioranza se non erano le loro). Fu l’inizio di un periodo alquanto complicato e difficile per i rapporti sindacali in fabbrica, su una vertenza o una rivendicazione si raggiungeva un accordo ma poi chi non era coinvolto o escluso veniva contattato dalle altre sigle proponendo a questi di tentare causa legale all’azienda: si sostituiva così la contrattazione sindacale con il tribunale. Molte di quelle cause giudiziarie intentate poi dopo anni (con i tempi della magistratura) sono state perse con conseguenze negative per i lavoratori creando negli animi un senso di rabbia e di sfiducia contro tutto e tutti”.
La fine dell’Alfa Romeo e il ruolo del sindacato
Al di fuori della fabbrica molte persone ritengono che alla fine dell’Alfa Romeo di Arese abbia contribuito anche la vivacità sindacale…
“In Alfa Romeo c’era elaborazione sindacale su problemi concreti di lavoro che poi sono anche di prospettiva e di miglioramento della qualità di vita, gli scioperi per avere diritto alla malattia pagata, per la salubrità degli ambienti di lavoro come gli innovativi aspiratori a pavimento in fonderia evitando che i fumi salissero fino al soffitto e venissero respirati, i post combustori negli impianti di verniciatura per non buttare in atmosfera i residui delle vernici, la ricomposizione delle mansioni e le isole di montaggio per evitare che gli addetti alla catena di montaggio per tutta la vita svolgessero un lavoro parcellizzato e solo quello. Credo che le rivendicazioni avessero una visuale e valenza prospettica”.
Quando l’appeal sindacale ha incominciato a vacillare e perchè?
“Dobbiamo partire dal 1970: con il nuovo stabilimento dell’Alfa Sud di Pomigliano, la cui produzione doveva essere aggiuntiva mentre per vari motivi divenne sostitutiva, c’era una capacità produttiva complessiva dei due siti Alfa (nord + sud) superiore alla richiesta e assorbimento del mercato. Va aggiunto che la proprietà (l’Iri) decise nel 1986 di vendere il sito produttivo di Arese (a Fiat o a Ford), si prospettava una drammatica crisi sociale: dalla volontà degli acquirenti di ridurre drasticamente il personale, prevalse la ragion di stato. Ceduta a Fiat che utilizzò tutti gli ammortizzatori sociali (Cassa integrazione, Incentivo alle uscite volontarie, mobilità di accompagnamento alla pensione).
Nel 1982 all’Alfa Romeo di Arese lavoravano 19.000 persone
Ad Arese gli occupati passarono a 16.000 dai 19.000 del 1982, chiusura del sito Autobianchi di Desio e i lavoratori trasferiti ad Arese dove la manodopera andava sempre riducendosi: scesi a circa 6.000 per assottigliarsi a 4.000 dipendenti nel 1997. Con la direzione Fiat subito cambiarono i rapporti sindacali ed il clima in fabbrica: gli aumenti di merito venivano dati esclusivamente ai non iscritti al sindacato, e ci tenevano che si sapesse e a far circolare il messaggio. Se succedeva un infortunio sul lavoro consigliavano di andare a casa e mettersi in malattia… E’ palese che in una situazione del genere vien meno la fiducia e si fa strada l’opportunismo e ci fu un dimezzamento delle adesioni. Sono andato in pensione nel 2002, nel 2005 la chiusura, nel 2013 la demolizione dei reparti. Praticamente lo stabilimento l’ho vissuto dalla nascita alla sua fine!”.
Il ricordo di momenti di grande soddisfazione per l’azione sindacale? E quelli da dimenticare?
“Non ci sono stati momenti particolari, come ho già detto è stata tutta una bella vicenda ben vissuta, anche con momenti pesanti o negativi …ma, capita, come nella vita”.
Si può pensare che il sindacato si sia oggi radicalmente trasformato?
“Penso che sia poco elaborativo, molto conservativo e prevalentemente di servizio (730, isee, ecc…) per questo molto remunerativo per le casse del sindacato”.
Quale è il sindacalista che ritiene possa essere il suo maestro?
“Sono molti ma due molto importanti: Pierre Carniti e Vito Milano, ambedue in periodi diversi sono stati segretari della Fim-Cisl di Milano, poi hanno assunto incarichi nazionali”.
M.G.
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