“Mamma sono uscita per rilassarmi, non ce la faccio più”. Poche parole scritte su un foglietto ad esprimere il disagio di un’intera generazione. Alice, 14 anni studentessa di Saronno ieri ha spento per qualche ora lo schermo del Pc, da quella didattica a distanza che da un anno – salvo poche interruzioni – scandisce le giornate dei ragazzi delle superiori in isolamento a casa. Un gesto di protesta che manifesta un disagio diffuso contro l’apprendimento da remoto, adottato per limitare i contagi da Covid-19 ma che oggi è sempre più difficile da reggere a livello psicologico.
La madre, Iole Struzziero, ha condiviso in un post su Facebook la sua preoccupazione di fronte al malessere dovuto al prolungamento della Dad, che è subito diventato virale con decine di condivisioni e centinaia di commenti in diverse pagine molto seguite nel Saronnese. Dal 15 marzo scorso nella Lombardia zona rossa scuole di ogni ordine e grado sono chiuse e lo rimarranno almeno fino a dopo Pasqua. Qualche spiraglio è trapelato solo ieri quando il presidente del Consiglio Draghi nell’informativa alle Camere prima del Consiglio UE ha auspicato di poter riaprire presto le scuole – almeno elementari e medie – anche nelle zone rosse, come sperimentato del resto in autunno durante la seconda ondata della pandemia.
Sig.ra Iole, quale appello di sente di rivolgere di fronte a questi segnali di disagio?
“La situazione non è più sostenibile, ai ragazzi non possiamo più chiedere oltre, ormai sono alla frutta. Ho ricevuto centinaia di messaggi da genitori e colleghi avvocati che si sono proposti di unirci insieme per presentare una petizione. Se dopo Pasqua non vedremo le scuole riaperte, faremo un’azione perché una situazione così non la possiamo portare avanti ancora a lungo. I ragazzi sono più fragili degli adulti. Mia figlia oggi mi ha lasciato il biglietto, ma poteva anche uscire di casa senza dire nulla. Tante mamme mi hanno scritto dicendo che i loro hanno sempre più attacchi di panico, hanno cominciato un percorso psicologico, altri hanno difficoltà col cibo o a prendere sonno. Disagi che si porteranno dietro. Tanti giovani con i bisogni speciali avevano fatto passi in avanti grazie alla scuola e ora hanno subito un arretramento. Chi decide le restrizioni non ha la minima idea quale sia la realtà di questi ragazzi”.
Se dopo Pasqua riapriranno solo le scuole elementari e medie lei vede una discriminazione nei confronti degli studenti delle superiori?
“Sì, mia figlia ha 14 anni e gli adolescenti vivono già un sacco di problemi perché attraversano un periodo difficile della loro vita. Nella situazione attuale però i problemi dell’età si stanno esasperando ancora di più. Loro hanno un bisogno assoluto di stare in mezzo ai compagni, di andare a scuola e di confrontarsi. Sono gli unici che sono rimasti segregati a casa ormai da tanto tempo”.
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Le scuole aperte non rischiano però di favorire una crescita dei contagi?
“Il Tar (tribunale amministrativo regionale ndr) aveva stabilito il rientro dei ragazzi a scuola. Non c’è mai stata l’evidenza scientifica che i contagi aumentino e che la scuola sia un luogo di contagio. Mia figlia va in una scuola privata a Como che ospita 700 ragazzi, la maggior parte arriva dalla Svizzera e da fuori, pochissimi sono quelli che vivono in città”.
Il gesto di Alice ha aperto la strada in qualche modo ad una mobilitazione civica su questo tema?
“Secondo me sì. Domenica ero in piazza a Saronno nella manifestazione per la scuola in presenza che è stata un successo in tutta Italia. E proprio a seguito di queste voci il governo si è deciso ad aprire forse le scuole primarie. La mobilitazione in tutta Italia è stata grandissima ma non ci fermeremo qui. Tanti ragazzi sono finiti in ospedale per la disperazione, dobbiamo ottenere la riapertura immediata delle scuole. Ho un’amica che abita a Londra e mi ha detto che li le classi hanno riaperto e tamponano i ragazzi due volte alla settimana. Il modo per gestire le riaperture c’è ma qui manca la volontà perché chiudere è più facile”.
La scuola può tornare ad essere un luogo dove i ragazzi si sentano “a casa”?
“Fino a che eravamo in zona arancione mia figlia andava tre volte alla settimana ed era rinata. A questa età molti ragazzi fanno fatica a parlare con i genitori e a volte si sentono più liberi a stare con i professori e i compagni. Nelle case molti pensano che si vive stile “mulino bianco” ma non è così, ci sono situazioni domestiche difficili e per tanti ragazzi la scuola è un rifugio”.
Claudio Agrelli
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