Il Mondiale di calcio in Qatar raccontato dai più prestigiosi osservatori nazionali.
Giancarlo Padovan, oggi opinionista Sky, è stato prima firma del calcio per Il Corriere della Sera, ha lavorato per Repubblica ed è stato direttore di Tuttosport
Di candido e immacolato c’è solo il colore della dishdasha, il tradizionale abito arabo. Le ombre e il torbido resta, nonostante quelle parole con cui il presidente Fifa, Gianni Infantino, ha tagliato il nastro al Mondiale di calcio qatariota. “Sono qui da arabo, migrante, gay”, ha spiegato il numero uno dello sport numero uno, dall’alto di un palcoscenico che non ha eguali. Rispondendo indirettamente alla critiche che sono giunte e quelle che inevitabilmente ancora arriveranno su questa prima rassegna in autunno e in Medioriente. Iridata sì, ma appunto non bianca e trasparente come la si vorrebbe far passare. Soprattutto in temi di libertà, diritti personali e (in)sicurezza dei cantieri che hanno portato alla realizzazione degli stadi.
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Mondiali in Qatar, Padovan: “Quanta ipocrisia”
“Certo che c’è ipocrisia”, spiega Giancarlo Padovan. “Da tutte le parti. Solo adesso ci si accorge che il Qatar non rispetta i più elementari diritti umani? È un Paese che soffoca ogni libertà, omofobo, che calcisticamente non esiste e che per i suoi stadi ha portato alla morte di 5mila persone. Tutte queste cose si sapevano da prima, da quando il Mondiale è stato assegnato. All’epoca il presidente Fifa era Sep Blatter. Ma anche Infantino, da che è alla guida della Fifa, non ha fatto niente per cambiare le cose. E ora se ne è uscito con questa frase kennediana. La verità è che questo Mondiale si gioca perché è stata una grande occasione economica”.
La Supercoppa italiana in Arabia Saudita
Il calcio d’inizio è stato dato, ora la partita è da giocare. Eppure, secondo Padovan, ciò che è maturato sul campo delle decisioni deve contribuire a fare esperienza. “Tutto questo ci insegna che bisogna stare attenti a compiere scelte solo per denaro. E lo deve insegnare anche a noi italiani e alla nostra Lega calcio, che ha scelto l’Arabia Saudita per la Supercoppa italiana: un Paese in cui certi valori trovano condizioni anche peggiori”. Ma, come detto, il dato è tratto. O, volendo, il fischio d’inizio è stato dato: “Resta un Mondiale che va giocato, a maggior ragione del fatto che siamo alla 22esima edizione e vicini ai 100 anni dal primo Mondiale. Qualche segnale, a mio avviso, va comunque dato. Come quello di Manuel Neuer, capitano della Germania, che indosserà la fascia da capitano con i colori arcobaleno. Sebbene Infantino stesso l’abbia sconsigliato, in quanto vietata”.
Padovan: “Rischiamo di avere un Mondiale non bello”
Eppure il rischio che le vicende extra calcio rischino di mandare in fuorigioco quel che avviene in campo, secondo Padovan non sta in queste contraddizioni comunque evidenti. “Credo semmai che il rischio di avere non un bel Mondiale sia concreto. Ci sono tanti infortunati, molti tra gli abili e arruolati non sono in piena efficienza fisica, altri sono a rischio infortunio. E le squadre nazionali negli ultimi anni non hanno sviluppato alcuna metamorfosi da un punto di vista tecnico. C’è il rischio di un calcio stereotipato”. Una delle ragioni connesse al fatto che, secondo Padovan, l’elemento di rottura di questo Mondiale potrebbe arrivare dal verdetto finale: “Perché c’è la possibilità che possa vincere una outsider. Dovessi sbilanciarmi, direi una dei Paesi Bassi: Olanda o Belgio. Anche se il Brasile resta la favorita numero uno, anche per il clima, come poi Argentina e le tradizionali grandi europee. A partire dalla Francia, comunque gravemente penalizzata dagli infortuni ma comunque campionessa uscente, poi Germania e Spagna. Non l’Inghilterra”.
L’Inghilterra non esprime l’intensità della Premier League
Le ragioni per avere la Nazionale di sua Maestà fuori dalla cerchia delle reali pretendenti, per Padovan ha una motivazione specifica: “In Inghilterra giocano troppi stranieri. La Nazionale dovrebbe essere espressione della Premier, in realtà vedo un ritmo molto più basso rispetto a quello espresso dai club. Ma ciò è comunque anche alle altre Nazionali, che del resto non sono luogo di esperimenti ma espressione di ritmo e intensità”.
Stefano Arosio
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