In questi giorni in Italia non si è parlato d’altro: tutti a commentare l’eliminazione della Nazionale Italiana di calcio dai Mondiali di Russia 2018. Io probabilmente mi intendo di calcio come un esquimese si intende di cactus, per cui non oso addentrarmi in commenti tecnici.
Tuttavia, l’eliminazione dei nostri da parte dei determinatissimi svedesi mi ha gettato addosso una grande tristezza.
Mi rattrista molto questa eliminazione, non per il calcio in sé (che probabilmente in Italia è troppo viziato e tatuato) ma per l’indotto che i Mondiali si portano dietro.
Mi spiace per i bar che, in occasione delle partite dell’Italia, la prossima estate si sarebbero affollati di clienti, mi spiace per le pizzerie, per i giornalai, per le agenzie di viaggi, per i rivenditori di televisori, tutta gente che lavora e a cui l’Italia ai Mondiali avrebbe dato una bella boccata d’ossigeno. E mi spiace per l’immagine del nostro Paese: mentre tutti la prossima estate saranno a tifare per la propria Nazionale, noi saremo la barzelletta dai Mondiali.
Ma mi spiace soprattutto questo: dopo aver dichiarato che la nostra eliminazione sarebbe stata un’apocalisse, nessuno ha avuto la dignità di dimettersi un minuto dopo il fischio finale.
Non si è dimesso l’allenatore né il capo della Federazione. L’uno è stato esonerato (ma non si è dimesso), l’altro resta in sella. Perché la dignità in Italia conta come il due di picche a briscola. Per questo hanno vinto gli svedesi.
Piero Uboldi
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