A metà giugno scrivevamo su questa stessa pagina un editoriale in cui annunciavamo che, finalmente, l’Europa ora è un po’ più unita grazie alle nuove tariffe telefoniche della Ue. Adesso, a distanza di un mese, dobbiamo fare un’imbarazzante retromarcia: in un mese abbiamo potuto constatare che, in realtà, l’Europa sta andando in frantumi.
Partiamo proprio dalle tariffe e telefoniche: sebbene le spiegazioni date (almeno da alcune compagnie) fossero quantomeno vaghe, siamo riusciti a chiarire che le frontiere non sono affatto cadute.
Se si chiama dall’Italia in un altro Paese della Ue, si continua a pagare la chiamata internazionale.
Si paga la tariffa nazionale solo quando si chiama un numero italiano che si trova all’estero.
O meglio, chi è all’estero non paga il supplemento nel caso in cui risponda e paga tariffa nazionale se chiama in Italia.
Ma ciò vale solo per chi si reca all’estero per un viaggio.
Se vi portate un numero italiano all’estero perché vivete lì, se quel numero resta all’estero per più di 4 mesi all’anno, allora verrà considerato anch’esso un numero straniero.
Insomma, le frontiere telefoniche non sono affatto cadute, proprio come non cadono quelle geografiche, lo vediamo sempre di più nella vicenda migranti: più che Unione Europea, dovremmo chiamarla Disunione Europea, una grande occasione gettata alle ortiche.
Piero Uboldi
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