L’emergenza che stiamo vivendo in questi giorni ha messo a nudo un grave difetto della nostra società: la fragilità. Il nostro benessere è costruito su una fragile base di cristallo, basta un sussulto per far vacillare il lavoro (e dunque la tranquillità) di milioni di persone.
Ci ho sempre pensato a questa fragilità: basta un lungo black-out, una nube radioattiva o un’arma batteriologica e tutto rischia di cadere a pezzi. Invece l’attacco è arrivato da un virus, un’emergenza gestita male, non c’è dubbio.
Anzichè tranquillizzarci dicendo “Non preoccupatevi, dobbiamo solo rallentare al massimo il diffondersi del virus, così da poter curare tutti al meglio”, si sono viste informazioni confuse, ritardi, ordinanze emesse, poi cambiate e poi rimesse, con i social che hanno diffuso una marea di fake news senza il minimo controllo, generando panico. Bisognava chiudere i social, non le scuole, sia chiaro.
I danni adesso sono immensi, sappiatelo. L’Italia è un Paese che vive di immagine e la nostra immagine oggi è distrutta. Nel turismo lavorano quattro milioni e mezzo di persone, Milano è la città con maggior afflusso di turisti d’Italia: che cosa ne sarà di quei 4,5 milioni di lavoratori questa primavera e quest’estate? Urge dare un’immagine di normalità, occorre mettere da parte al più presto l’isteria collettiva.
Sì, ci sono casi di coronavirus, va bene, ma se tutti rispettiamo le direttive ministeriali, rimarranno pochi casi e potremo risollevarci.
Se invece non ci svegliamo, se non torniamo a una vita normale pur rispettando le direttive, sarà un disastro.
Piero Uboldi
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