
L’altra sera sono andato al cinema a vedere un film, “Il ritratto negato” di Andrzej Vajda. Per carità, non andate a vederlo!
Non perché sia brutto, tutt’altro, è profondo nel suo genere, ma è uno di quei film che, se entri sereno, esci depresso e turbato. Racconta di come il regime (in questo caso sovietico) annienti fino alla morte un grande e fiero artista, Wladyslav Strzeminski.
Nel procedere del film mi rendevo conto di come – sembra assurdo – quella realtà non sia così distante dalla nostra. E’ un concetto difficile da esprimere con le parole, perché sono sensazioni, lampi di luce nel buio…
Lampi che mi fanno chiedere: c’è molta differenza tra una società dittatoriale che ti impone il suo pensiero con la forza e una società che, in modo molto più subdolo, ti omologa il pensiero attraverso la moda, la televisione e internet?
C’è molta differenza tra una società che ti preclude il lavoro se non hai una certa tessera e una società che ti preclude certi lavori se non hai la raccomandazione giusta, se non ti omologhi nel modo di vestire o di pensare?
Tutti, tranne pochi eroi, in quel film si sono adeguati al pensiero unico del partito, tutti oggi, tranne pochi eroi, si adeguano al monopolio del pensiero e dell’appiattimento culturale che ci impongono i social, che tutto sono tranne che “sociali”.
Il partito del film di Vadja, capace di annientare un grande uomo fino alla morte, mi ricorda davvero le oche starnazzanti della “Fattoria degli animali” di Orwell, ma anche i follower adoranti della Rete: se ti travolgono quelle masse, sei finito, sei annientato.
Lo so, sono concetti ardui da comprendere, ma spero che qualcuno riesca a capirmi.
Piero Uboldi
puoi iscriverti gratuitamente al nostro Canale Telegram
oppure per i nuovi video pubblicati puoi iscriverti al nostro Canale Youtube