di Stefano Di Maria
Come gli inglesi, anche i tedeschi si stanno dimostrando degli ottimi produttori seriali. Lo dimostra la miniserie Amazon Prime Video BEAT, uscita qualche anno fa ma passata incomprensibilmente sotto silenzio e finita nel dimenticatoio. Un titolo senza dubbio da rispolverare (tanto più perché sempre di attualità) recuperandolo dal catalogo spy, drama e suspense. Il tema trattato è il traffico degli organi, argomento raramente scandagliato dalla serialità televisiva: nei suoi sette episodi, BEAT lo affronta bene, denunciando quella che è una pratica criminale diffusa quanto sottovalutata.
BEAT – La trama
Nessuno è meglio integrato nella scena della tecno berlinese del promoter Rober Schlag, alias Beat. Lavora come promotore nel più famoso club ed è un 28enne festaiolo, tutto sesso e droga. Fino a quando i servizi segreti europei lo ingaggiano come agente sotto copertura per smascherare la corruzione di un socio del club del suo migliore amico. Da quel momento, per lui, non sarà più nulla come prima: la sua vita diventa una spirale di violenza e orrori che lo segneranno profondamente.
Proprio grazie a Beat, verrà sollevato il velo su un’organizzazione criminale che rapisce i profughi per espiantare loro gli organi e rivenderli a gente ricca e disperata. Ma il prezzo che il protagonista dovrà pagare per decapitarne i vertici sarà altissimo in termini di affetti. Travolto dal suo passato, Beat si ritrova faccia a faccia con i suoi stessi limiti.
BEAT – La recensione
Creato e diretto da Marco Kreuzpaintner, BEAT inizia con un piano sequenza magistrale, che introduce lo spettatore nel mondo della musica techno e house di Berlino, nel sottobosco underground di una città sempre in movimento e che non dorme mai. Subito dopo ecco gli agenti dei servizi segreti, che spezzano l’incipit festaiolo con l’indagine che stanno conducendo, per cui hanno bisogno di un infiltrato.
Ponendosi a metà fra il thriller e la spy story, BEAT è caratterizzato da un’introspezione psicologica che si vede difficilmente in prodotti di questo genere. Jannis Niewöhner è notevole nell’interpretare il tormento di un ragazzo vissuto senza genitori, che si ritrova di punto in bianco ad abbandonare i festini nei quali si era rifugiato: dovrà combattere per la sopravvivenza, per uno scopo più alto, per salvare le vite di persone destinate a morte sicura.
BEAT è una serie avvincente, che non lascia tregua. Il montaggio è scattante, concentrato spesso sui primi piani. La fotografia cattura il clima dei locali underground, luci e ombre di una Berlino dove bene e male combattono fino all’ultimo respiro. Il tutto sostenuto da una scrittura priva di sbavature o vuoti narrativi. La musica tecno fa tutto il resto.
GIUDIZIO: 3/5
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