
HOMECOMING è una vicenda a tratti surreale, ma sicuramente ancorata alla realtà perché narra di qualcosa di possibile, forse già concreto ai giorni nostri: un programma per reduci di guerra mirato a far dimenticare loro i traumi del fronte per farli tornare a combattere come fossero macchine, non esseri umani.
La storia, che poteva essersi autoconclusa con la prima stagione, qui prosegue con qualche forzatura, vecchi e nuovi protagonisti. Spicca la brava Janel Monàe, che comunque – per quanto convincente – non è in grado di prendere l’eredità della Roberts: in un mix tra presente e passato (un flashback che dura interi episodi), riesce a dividersi fra l’interpretazione di una donna volitiva, realizzata nella vita, e la sua trasformazione in una donna confusa, incerta, che deve superare le proprie paure per indagare su cosa le sia successo.
Azzeccato l’intero cast, fra cui spicca Leonard Geist, l’eccentrico botanico proprietario della Geist, la struttura americana che tratta i soldati col programma Homecoming.
Di sicuro la seconda stagione di HOMECOMING non eguaglia la prima, resa indimenticabile dalla regia del suo creatore, l’egiziano Sam Esmail (qui imitato qua e là nelle inquadrature e nel montaggio, ma senza mai raggiungerlo davvero).
La domanda ovvia è se ci fosse bisogno di una seconda stagione: forse no, ma HOMECOMING (disponibile su Amazon Prime Video con dieci episodi dai 27 ai 38 minuti) resta un prodotto di rara qualità, forse di nicchia ma che merita una chance.
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