di Stefano Di Maria
Da fine aprile c’è su Netflix una miniserie toccante, imperdibile per i temi trattati e il realismo con cui li affronta: Deliver Me, titolo scandinavo tradotto in Italia con NON LASCIARMI CADERE, tratta dell’adolescenza rubata e negata, di quei giovani che vivono ai margini finendo nella rete delle baby gang o delle bande criminali, che non esitano a utilizzare anche i ragazzini per i loro loschi traffici.
NON LASCIARMI CADERE – La trama
Siamo in un quartiere di Stoccolma. La neve cade leggera su un parco giochi deserto. Un quattordicenne è sdraiato a faccia in giù davanti a un’altalena, morente per una profonda ferita alla testa. Dietro di lui, il suo migliore amico tiene nella mano tremante una pistola ancora calda.
Quando i minori commettono crimini orribili, chi ne è responsabile? E quali sono le conseguenze per tutti noi se pensiamo a questi giovani come a dei mostri? Al centro di questa straziante storia troviamo ragazzini perduti, ignorati per negligenza, povertà o indifferenza sociale. Le madri single, il negoziante in piazza, il poliziotto locale: nessuno è al sicuro in una società in cui la violenza in aumento sta invadendo le comunità ai margini e in difficoltà.
NON LASCIARMI CADERE – La recensione
La miniserie in 5 episodi da 50 minuti è un ritratto intenso del potere dell’amicizia e dell’infanzia, al tempo stesso una rappresentazione sconvolgente di ciò che accade quando una società non riesce a proteggere coloro che ne hanno più bisogno. Sono i minorenni figli di coppie o genitori single che vivono nelle periferie, lontani dalle rutilanti strade dello shopping, degli uffici e degli appartamenti di lusso o della media borghesia. Il quartiere povero di Stoccolma dov’ambientata la serie si vede poco, come se fosse così anonimo da non meritare di essere inquadrato. Così come le vite perdute dei ragazzi che crescono qui, dimenticati da tutto e da tutti, in balia del crimine e di quelle bande che li fanno sentire importanti per la prima volta nella vita. NON LASCIARMI CADERE mette in luce proprio la facilità con cui i boss delle band riescono a reclutare adolescenti facendo leva sul loro bisogno di sentirsi considerati, di avere punti di riferimento. Ma ad attirarli sono anche i guadagni facili (colpisce l’abbigliamento griffato dei delinquenti) e il rispetto cui anelano perchè nella vita di tutti i giorni si sentono trasparenti. Quando sono dentro l’ingranaggio, però, uscirne è difficile, se non impossibile. Un fenomeno che ricorda la nostrana serie MARE FUORI o l’altrettanto coinvolgente SNABBA CASH di Netflix (per chi non la conosce conviene recuperarla), che in tre stagioni ha mostrato in maniera altrettanto incisiva il mondo criminale di Stoccolma.
Gli attori che interpretano i due ragazzi protagonisti sono convincenti (ma ancora di più gli adulti): la regia indugia sui loro volti, sui loro sguardi persi nel vuoto o impauriti. Ci sono momenti nei quali la disperazione di non potersi sottrarre a quel destino è tale che non sembrano neppure bambini.
Il montaggio è scattante e gioca coi flashback forse in modo troppo veloce e in parte confusionario, ma comunque mettendo poi ogni tessera del puzzle al suo posto, spiegando efficacemente il perché dell’omicidio che dà il via a tutto. Un plauso alla scelta delle colonne sonore, introdotte efficacemente nelle sequenze più significative, sottolineandone la drammaticità.
GIUDIZIO: 3 su 5
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