di Stefano Di Maria
E’ tornato, dopo un’attesa durata due anni, TUTTO CHIEDE SALVEZZA. Quella rilasciata il 26 settembre da Netflix è una seconda stagione ancora più potente della prima. Un concentrato di emozioni che lasciano senza fiato: il seguito della storia di Daniele e dei suoi amici pazzi fa ridere, piangere e arrabbiare, atterrisce e fa riflettere sul disagio esistenziale e mentale come nessun’altra produzione televisiva ha mai fatto. Rendendoci consapevoli che “un reparto di psichiatria è una linea di confine che in realtà non esiste – dice il dottor Mancino a Daniele – Tra di noi e loro c’è solo una differenza: il caso”.
Sono cinque gli episodi che compongono questa seconda stagione, scritti del regista Francesco Bruni, da Daniela Gambaro e da Daniele Mencarelli (autore del libro autobiografico da cui è tratta la serie), quante le settimane in cui il protagonista deve fare il tirocinante nella stessa struttura di psichiatria che lo aveva salvato la prima volta: è qui che ritroverà i suoi fantasmi.
Qui il trailer
TUTTO CHIEDE SALVEZZA 2 – La trama
Sono trascorsi due anni da quando abbiamo lasciato Daniele e la nave dei pazzi. Molte cose sono cambiate: Daniele e Nina sono diventati i genitori della piccola Maria e poco dopo la sua nascita si sono allontanati. Li ritroviamo che si contendono l’affidamento della bambina con il supporto delle rispettive e diversissime famiglie. Daniele, dopo l’intensa esperienza vissuta durante la settimana di Tso, ha scelto di diventare infermiere e, grazie all’intervento della dottoressa Cimaroli, sta per entrare come tirocinante nell’ospedale in cui era stato ricoverato.
Ha cinque settimane per dimostrare al giudice che quello può diventare un impiego stabile, accreditandosi come un genitore affidabile. In questa nuova veste, Daniele conosce i nuovi pazienti della camerata, che lo costringono a riflettere sul suo eccesso di empatia verso il dolore degli altri e che rischiano di farlo deragliare di nuovo.
TUTTO CHIEDE SALVEZZA 2 – La recensione
Questa stagione ha una straordinaria potenza emotiva che supera l’esordio. Raramente in una serie italiana si è visto un tale concentrato di perfezione nella scrittura dei dialoghi, nelle interpretazioni di un cast che ha ogni ruolo cucito addosso, nella trama priva di sbavature, sempre ancorata alla realtà della malattia mentale e alle sue conseguenze non solo su chi ne soffre ma anche sui medici, famigliari e amici.
Il giovane Federico Cesari (già molto apprezzato in SKAM ITALIA) ha dimostrato ancora una volta un grande talento: il suo Daniele, con tutti i suoi tormenti e le paure della vita, porta a chiederci se e quante volte ci siamo sentiti come lui, arrabbiati col mondo, delusi, scorati. Pur non avendo mai superato il “confine” solo per quella casualità di cui si diceva all’inizio. Cesari emoziona in ogni scena: da quelle divertenti a quelle drammatiche, è uno di quei rari protagonisti seriali che non si dimenticano.
E poi c’è la grande star di questa stagione: Drusilla Foer, nel ruolo di una donna nata in un corpo sbagliato, che combatte il suo dolore seminando odio. Si vede che ha alle spalle una vita nel teatro: brilla in ogni scena, con una sconcertante capacità di creare empatia nello spettatore seppure il suo ruolo sia negativo, quasi una strega. Sorprendente per la sua bravura il giovane Samuel Di Napoli nei panni di Rachid, un algerino abbandonato dalla famiglia: un personaggio che solleva temi importanti, dall’indifferenza della società verso chi arriva in Europa per rifarsi una vita allo sfruttamento degli extracomunitari nel mondo del calcio. Ma è l’intero il cast a brillare: da Filippo Nigro a Carolina Crescentini, a Fotinì Peluso e Ricky Memphis, lasciano tutti il segno.
Quello che rimane al termine della visione è la verità di quella frase, scritta su una parete della stanza dei matti, di Samuel Beckett: “Nasciamo tutti pazzi, alcuni lo rimangono”. Fermo restando le gravi malattie mentali, tutti più o meno, in un modo o nell’altro, attraversano il dolore di Daniele, ma c’è chi fa più fatica a reagire: perché si sente solo, perché si vergogna o non si fida di chi gli sta attorno o delle strutture sanitarie. Tuttavia una rete di aiuto c’è, anche se non si vede, e salvarsi non è poi così difficile come può sembrare nei momenti più bui.
GIUDIZIO: 4/5
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