Poco prima di inforcare i pedali per la Coppa Agostoni del 2015, Davide Rebellin pronunciò parole in linea con il suo modo di essere. Pioveva, quel giorno, al quartier generale della Cleaf di Lissone. Da lì il gruppo sarebbe partito alla volta della Villa Reale di Monza, per il chilometro zero della corsa numero 69. E Rebellin: “Il percorso è esigente e impegnativo. C’è troppa pianura tra l’ultima saluta e l’arrivo, prevedo dei ricongiungimenti. Ma a fare la selezione potrà essere anche il tempo”. Parole prudenti, così in contrasto con quel che sarebbe successo poi lungo le strade. Dei 198 chilometri di corsa, tra i 193 partenti fu proprio Davide Rebellin a tagliare per primo il traguardo. Precedendo sul podio gente come Vincenzo Nibali e Niccolò Bonifazio. La misura di Rebellin la dava il suo modo di essere e quel giorno non fece difetto. Aveva 44 anni, ma sarebbe riuscito a mettersi tutti alle spalle.
Ciclismo, morte di Rebellin: la carriera
È solo una pagina della carriera del ciclista veneto, morto investito da un camion mercoledì 30 novembre, mentre pedalava lungo la strada Regionale 11 a Montebello Vicentino. Rebellin di anni ne aveva 51, alle spalle una carriera con tanti acuti: Tirreno-Adriatico, Gp di Svizzera, San Sebastian, Gp Francoforte, primo corridore di sempre a vincere in una settimana tutte le classiche delle Ardenne: Amstel Gold Race, Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi. Al Giro d’Italia, 6 giorni in rosa nel ‘96, vittorie di tappa e un argento alle Olimpiadi di Pechino nel 2008. Una sola piccola ombra, l’accusa di positività al Cera, da cui verrà scagionato dopo 7 anni.
Figini su Rebellin: “Lo chiamavano chierichetto. Era una persona per bene”
“Era una persona per bene, un timido”, lo ricorda oggi il padernese Giuseppe Figini, monumento vivente dell’organizzazione ciclistica italiana. Per anni in Rcs Sport, braccio destro di Vincenzo Torriani e poi ancora a lungo nello staff organizzativo della Corsa Rosa, con un ruolo di primissimo piano. “Rebellin era un ragazzo riservato, un gran corridore, che però non legava molto con il gruppo. Era uno che alla domenica, prima della corsa, andava a messa. Non per niente in gruppo lo chiamavano ‘il chirichetto’. Da corridore aveva solo un difetto: non sapeva comandare. E forse era anche per questo suo modo di essere un buono”. Anche nella vita extrasportiva, la storia di Rebellin avrebbe raccontato di qualche fuoristrada spiacevole, dettato dalla fiducia mal riposta nelle persone vicine.
Rebellin e la morte di Tronca: “Piangeva a dirotto”
“Ma lui restava quel che era. Lo conoscevo sin da quando esordì, era figlioccio sportivo di Zenoni, altra persona intelligente e con valori morali. Non si è mai trovato fuori posto, ha sempre conservato la sua educazione. Ricordo un episodio: nel 1999 Amilcare Tronca, corridore dell’Amica Chips, venne investito e ucciso durante un allenamento”, proprio come sarebbe accaduto 23 anni più tardi proprio a Rebellin, sempre sulle strade vicentine. “Dopo il funerale, mi allontanai per recuperare la mia auto e trovai Rebellin che piangeva a dirotto. Una testimonianza di quanto fosse persona sensibile. Da corridore, aveva un fan club che lo seguiva, gestito dal salumiere del suo paese natale, San Bonifacio. Quando c’erano le tappe dolomitiche, sapevo che loro non sarebbero mancati. E mi adoperavo per trovare loro i pass necessari: non era facile, perché a volte arrivavano in 50, ma sono sempre riuscito ad accontentarli”.
Stefano Arosio
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