Ci sono persone che, quando muoiono, lasciano un vuoto immenso nella comunità in cui vivevano. Persone che erano piene di energia, di allegria, che sapevano coinvolgere e trascinare gli altri, vere e proprie colonne di associazioni culturali, sportive, aggregative, o anche semplicemente di gruppi di amici: via loro, spesso l’associazione o il gruppo pian piano si spengono perché mancano il calore e il vigore di questi trascinatori. Chi di noi non ha in mente una di queste persone, una di quelle di cui si pensa sempre “meno male che c’è!”, anche se magari non glielo diciamo mai.
Purtroppo, però, quando queste persone muoiono, col tempo muore anche il ricordo di loro. Resta vivo per un po’, perché la loro forza e il loro calore rimangono nell’aria, ma poi, inesorabilmente, vengono dimenticate, perché nessuno ne tramanda la memoria. Ma è giusto, secondo voi? Perché dobbiamo perderle così? Le nostre biblioteche sono piene di libri di storia locale, libri sui monumenti, sulle strade, sui grandi eventi, ma mai o quasi mai troviamo libri sulle persone che hanno consolidato e cementato le nostre comunità, senza compiere grandi imprese, ma dando vita alla vita, che è la cosa più bella. Nei libri al massimo si parla dei sindaci, dei parroci, degli imprenditori, ma mai della gente comune che ha saputo far vivere i rapporti umani. Eppure loro sono il sale della nostra vita, molto più di un monumento, di un parco o di una strada.
Piero Uboldi
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