In queste settimane sto leggendo un libro di Yuval Noah Harari, storico israeliano che nell’opera “21 lezioni per il XXI secolo” delinea quello che sarà il futuro dell’umanità tra intelligenza artificiale, big data, sensori biometrici e algoritmi. E non è un futuro molto tranquillizzante quello che si delinea per i nostri pronipoti. Harari spiega che un tempo il potere lo deteneva chi possedeva la terra; adesso, da 200 anni in qua, il potere lo detiene chi possiede le fabbriche. Ma nel prossimo futuro il potere lo deterrà chi avrà il possesso dei dati personali di ciascuno di noi.
La gara per possedere i nostri dati – spiega – è già iniziata tra i colossi che ben conosciamo: “Catturano la nostra attenzione fornendoci informazioni e servizi gratuiti – scrive Harari – Catturando tale attenzione, sono in grado di accumulare un’immensa quantità di dati su di noi. Noi non siamo i loro clienti, siamo i loro prodotti”. E fa un paragone che ci deve far davvero riflettere: “Al momento la gente è felice di elargire la sua risorsa più preziosa, i dati personali, in cambio di servizi di posta elettronica gratuito e video di simpatici gattini.
E’ un po’ come accaduto agli africani e agli indiani d’America, che hanno sconsideratamente venduto grandi territori agli imperialisti europei in cambio di perline colorate e paccottiglia”.
Per che cosa verranno usati i nostri dati personali in futuro? Per decidere tutto (tutto) sulle nostre vite. Ci si potrà difendere da questa situazione? Da soli no.
Piero Uboldi
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