Questa domenica tutti i cittadini maggiorenni italiani sono chiamati alle urne. Qualcuno forse non lo sa, qualcun altro se ne sarà dimenticato, altri lo sanno e decideranno se andare o no a votare e che cosa votare. Tutte scelte legittime.
Tuttavia, la consultazione referendaria di questo 17 aprile, che riguarda la prosecuzione o meno delle concessioni per le trivellazioni entro il limite delle acque territoriali, ha una caratteristica particolare: la scarsissima informazione.
E' questa la netta sensazione che abbiamo avuto in queste settimane: del referendum si parla poco e se ne sarebbe parlato pochissimo se non ci fosse stata la magistratura a far scoppiare lo scandalo cosiddetto di “trivellopoli”. Uno scandalo che, guarda un po', riguarda proprio una questione di trivellazioni.
Non voglio qui chiedermi che scandalo sarebbe scoppiato se, per esempio, si fosse trattato di un referendum per liberalizzare la prostituzione, non oso proprio pensarci.
Ciò a cui penso è però il perché di questa poca informazione: certo, ci sono forze politiche (e poteri) che dicono di non andare a votare, così non si raggiunge il quorum, ma non dare informazioni sul referendum equivale a far campagna solo per questa parte. Già ci sono le fila sempre più numerose degli astensionisti ad agevolare, di fatto, la vittoria dei no; se ci si mette anche l'informazione, il gioco diventa scorretto e questo, a prescindere da come ognuno la pensi, non è democrazia.
Piero Uboldi
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