di Stefano Di Maria
E’ possibile raccontare l’epoca della Reggenza inglese, nei primi anni dell’Ottocento, senza la patina del già visto e adattandola al comune sentire dei tempi moderni? BRIDGERTON, serie evento di Netflix di produzione americana e creata da Chris Van Dusen, ci è riuscita benissimo. Senza la pretesa di una fedele ricostruzione storica, la produttrice Shonda Rhimes (la stessa di Grey’s Anatomy) è riuscita a realizzare uno show di notevole livello, che rimarrà impresso a lungo nella memoria dei consumatori seriali.
BRIDGERTON, che si basa sui romanzi di Julia Quinn, è lo specchio della nobiltà di Londra della Regency Era, quando le famiglie altolocate consumavano i loro giorni tra feste, balli, cene, passeggiate, indolenti pomeriggi a giocare a carte e pettegolezzi. In questa rappresentazione, è subito chiaro che la ragione di vita inculcata in ogni figlia fosse di sposarsi con un buon partito (spesso deciso dalla famiglia), per altro senza che le madri spiegassero nulla del sesso. A sperimentarlo è la protagonista della storia, Daphne, che al suo debutto nell’alta società incontrerà l’affascinante duca di Hastings, Simon, uno scapolo di cui s’innamorerà suo malgrado perdutamente. Il loro sarà un amore travagliato, molto coinvolgente, a repentaglio per la promessa che il duca fece a suo padre in punto di morte: “Sei stato un mostro. Non ti darò mai un erede”. Sullo sfondo è una girandola di personaggi, quasi tutti ben caratterizzati: la madre, i fratelli e le sorelle di Daphne e la famiglia dei Featherington, narrando scandali, tradimenti, amori clandestini e separazioni. Un mondo a parte rispetto alla povertà del popolo, che a malapena riesce a racimolare il cibo.
Il tutto raccontato dalla misteriosa Lady Whistledown, che fa da voce narrante degli otto episodi, la quale conosce molto bene quegli ambienti e ne svela segreti e bugie: i suoi pamphlet sono gli antenati degli odierni giornali scandalistici, sortendo in chi legge lo stesso effetto. La forza di BRIDGERTON sta nell’attualizzare situazioni, vicende e sentimenti dell’Ottocento che sono universali: possiamo riconoscerci anche a duecento anni di distanza.
A dir poco notevole lo sforzo produttivo. Ogni scena è curata nel minimo dettaglio, con settemila costumi e una fotografia che indugia su location da sogno, risalenti all’epoca e adattate allo show. A dominare sul cast, azzeccatissimo, non possono che essere loro: la Phoebe Dynevor che interpreta Daphne, perfetta nella parte della ragazza inglese minuta e ingenua descritta nel libro di Julia Quinn, e Regé-Jean Page, un Simon che a differenza dell’originale è nero.
La peculiarità della serie sta anche in questo: nell’immaginare nobili di colore all’epoca della Reggenza inglese (a proposito, anche la regina Charlotte è nera, ispirata a Sophia Carlotta di Meclemburgo-Strelitz, primo membro bi-razziale della famiglia reale inglese). Non c’è da stupirsi se la pretesa non è la ricostruzione storica ma il puro intrattenimento. E che intrattenimento.
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