di Stefano Di Maria
Non appena rilasciata da Netflix, CELLA 211 è finita ai primi posti della top ten. Non ci stupisce: al netto dei suoi difetti, come vedremo nella nostra recensione, ha un ritmo incalzante e si rivela un avvincente prison drama. In parte ispirata al romanzo di Francisco Pérez Gandul, da cui nel 2009 Daniel Monzon aveva tratto un film, la miniserie in sei episodi trae spunto anche da una rivolta avvenuta l’1 gennaio 2023 a Ciudad Juárez, Chihuahua. Di qui l’ambientazione in Messico anziché in Spagna, dove si svolgeva invece l’originale.

CELLA 211 – La trama
L’avvocato per i diritti umani Juan entra nel carcere di massima sicurezza di Ciudad Juárez per incontrare un detenuto quando scoppia una rivolta. A quel punto, per salvarsi, indossa i vestiti di un morto e finge di essere l’ultimo carcerato entrato nel penitenziario: dovrà però far parte di una delle due fazioni che si fanno la guerra e da quel momento la sua vita cambierà per sempre.

CELLA 211 – La recensione
Fin dal secondo episodio i conti non tornano: assistiamo al repentino cambiamento comportamentale del protagonista. Juan si trasforma letteralmente, smettendo i panni di avvocato per assumere i connotati dei criminali con cui sarà costretto a convivere: da dove ha preso tutta quella violenza che lo porta addirittura (spoiler!) a sconfiggere in combattimento un rivale? Com’è possibile che sia bastato indossare i vestiti di un morto durante la rivolta per sentirsi così a suo agio in quell’inferno carcerario, come se ne avesse fatto parte da sempre? Anche sforzandosi, riesce incomprensibile (leggasi poco credibile). E’ un’evoluzione psicologica troppo veloce, che nulla ha a che spartire col personaggio di Michael Scofield in PRISON BREAK, decisamente sfaccettato: qui Juan sembra un altro personaggio rispetto all’uomo innamorato che si vede all’inizio, in trepidante attesa che sua moglie partorisca.

Confusionarie le scene degli scontri della polizia coi parenti dei detenuti all’esterno del penitenziario: è come se se ne percepisse la gravità, ma senza che si comprendano le reali dinamiche. Non è chiaro neppure che cosa nasconda l’archivio di Baldor, di quali inconfessabili segreti sia a conoscenza e come ne sia venuto al corrente. Un vuoto narrativo non da poco considerando che il titolo della miniserie prende il nome proprio dal suo numero di cella.
Di contro le ambientazioni carcerarie sono credibili quanto quelle dell’ottima serie IL DETENUTO ( https://www.ilnotiziario.net/wp/serietv/il-detenuto-007-carcere-messicano/), che CELLA 211 ricorda fin dal primo episodio. A dispetto delle sue incongruenze, lo show ha un cast di ottimi attori: i detenuti sembrano reali e lo stesso protagonista Diego Calva è in gran forma; chiaramente, non è colpa loro se la storia sia così poco credibile, ma solo di una scrittura non ispirata. Magari a chiarire tutti i punti oscuri, volendo essere ottimisti, ci penserà la seconda possibile stagione.
VOTO: 2,5/5
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