di Stefano Di Maria
A quali estreme conseguenze può condurre un divorzio? Lo racconta la seconda stagione di DIRTY JOHN, serie antologica targata Netflix, che stavolta ricostruisce – seppure in modo romanzato – una tragica separazione coniugale il cui epilogo, negli anni Ottanta, suscitò grande scalpore in America: Betty Broderick uccise il marito e la sua nuova moglie a colpi di pistola.
La serie, in otto episodi di 45 minuti circa, narra in modo coinvolgente il matrimonio di Betty con Dan: da quando la loro relazione comincia come la più classica delle storie d’amore, a quando lui la tradisce, per poi privarla della casa, dei figli, dei soldi, riducendola uno straccio e minando per sempre la sua psiche. Senza poter immaginare la fine che avrebbe fatto dopo avere cacciato dalla sua vita, senza alcun rispetto, la donna che aveva cresciuto i suoi figli e alla quale doveva il suo successo.
Impareggiabile l’attrice Amanda Peet, che riesce a immedesimarsi perfettamente in una donna distrutta dal tradimento, così sconvolta da divenire la stalker del marito, finendo così dalla parte del torto: va a cercarlo a casa, lascia decine di messaggi al giorno sulla sua segreteria, non gli dà pace anche a costo di finire in galera. Fino all’imprevedibile tragedia, culmine del crescendo della pressione psicologica cui la sottopone Dan per distruggerla emotivamente. Magnifico anche Cristian Slater, noto per la serie MR ROBOT con Rami Malek, bravo quanto la Peen nel ruolo di un avvocato di sucesso, privo di scrupoli e freddo, che pensa solo ai suoi interessi personali.
In Betty si sono riconosciute tante donne americane: la sua storia è divenuta l’emblema della disparità di trattamento che all’epoca il cosiddetto “divorzio senza colpe” riservava alle mogli di uomini facoltosi, che avevano conoscenze e denaro.
Christopher Goffard, autore del postcad da cui è tratta la serie, lascia il segno alla fine del processo: le ultime scene ci mostrano una versione dei fatti alternativa, facendoci svestire da ogni pregiudizio per renderci consapevoli che, spesso, è la percezione a stabilire la realtà.