di Stefano Di Maria
Abbiamo visto i primi cinque episodi di L’ESTATE IN CUI IMPARAMMO A VOLARE, ultima uscita originale Netflix che racconta una grande amicizia, tratta dal libro omonimo di Kristin Hannah.
L’impressione è che sia una serie con un obiettivo chiaro: emozionare e farci riflettere sul valore degli amici, quelli veri, non quelli che si spacciano per tali ma celano interesse e ipocrisia.
Un’amicizia come quella delle protagoniste Tully e Kate, che sono sempre state unite da un grande affetto, dal farsi coraggio a vicenda, dalla condivisione di momenti bui e felici. La storia, raccontata su tre piani temporali, comincia negli anni Ottanta per arrivare agli anni 2000, percorrendo passo dopo passo gli eventi più importanti delle vite della coppia di amiche. Due donne così unite quanto diverse: giornalista di successo Tully, che salta da un uomo all’altro ed è ossessionata dalle vicende che hanno segnato la sua giovinezza; moglie e madre con una vita regolare Kate, che di punto in bianco si trova separata dal marito e bisognosa di riprendere a lavorare.
Perfette nei rispettivi ruoli le interpreti: la Tully di Katherine Heigl (che ricordiamo per il ruolo di Isobel in Grey’s Anatomy) è una donna spumeggiante, desiderosa di godersi la vita e i soldi ma in realtà dallo sguardo triste. “Hai mai visto una donna più triste?”, chiede l’amica al loro capo. E’ proprio così: dietro quegli occhi si nasconde la sofferenza per le ombre di un passato che non l’ha mai abbandonata e che continua a tormentarla. Sarà interessante seguire l’evoluzione del suo personaggio. Questa serie ci ha fatto scoprire un’altra grande attrice: Sarah Chalke, perfetta nei panni di Kate, che riesce a rendere credibile in ogni sua sfaccettatura; una donna confusa, che si sente troppo vecchia, l’amica sfigata, confusa dall’improvvisa solitudine e dalle tensioni con la figlia adolescente.
La trama è ricca di fatti e situazioni che tengono alto l’interesse dello spettatore, prospettando uno sviluppo della storia interessante alla luce della misteriosa morte di qualcuno, di cui non conosciamo l’identità: un escamotage di scrittura per tenere alta l’attenzione, essendo dieci gli episodi (di circa 50 minuti).
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