In questo periodo di guerra nelle martoriate terre del Medioriente, vale la pena recuperare FAUDA, una serie Netflix che da anni racconta proprio quelle vicende. In modo crudo, talvolta cruento, ma sempre imparziale: la scelta degli autori, mantenuta in tutte le quattro stagioni, è infatti di non fare propaganda a nessuna delle due fazioni.
Si tratta di un prodotto israelo-palestinese, a metà fra la spy-story e il thriller, che dimostra come le nuove produzioni seriali del Medioriente nulla hanno da invidiare a quelle europee e americane. Anzi, qui c’è una marcia in più: l’ambientazione nelle città di Israele e della Palestina: da Tel Aviv ai territori di confine, da Ramalla a Nablus, alla striscia di Gaza di cui tanto si parla in questi giorni.
Il “caos” della guerra contro Hamas quasi in forma documentaristica
Nel pieno del conflitto fra i due Paesi, durante l’occupazione dei territori arabi, vediamo come vengono orchestrati gli attacchi terroristici di Hamas e come li sventano (o almeno ci provano) l’esercito e i servizi segreti israeliani. Gli autori di FAUDA (in arabo “caos”) non parteggiano per nessuno: quasi in forma documentaristica, narrano gli eventi (frutto di fantasia ma molto vicini alla realtà, come ci mostrano le cronache di questi giorni) con tecniche di ripresa in continuo movimento, catapultandoci in quella realtà come se la vivessimo lì in quei momenti, in quei posti. Tanto più che tutte le scene in terra di Palestina sono in lingua originale araba e sottotitolate.
Vedere FAUDA è un tuffo in questo tormentato fazzoletto di Medioriente, facendoci prendere coscienza che nessuno è cattivo e nessuno è buono, ma anche di quanta sofferenza procuri la guerra alle famiglie di una fazione e dell’altra.
L’umanità dei personaggi, mostrati come soldati e padri di famiglia
Quel che ci preme rimarcare, infatti, è la grande umanità con cui vengono tratteggiati i combattenti addestrati a uccidere (donne comprese): dopo avere rischiato la vita per anni e avere visto morire i loro compagni, per loro sembra arrivato il momento di chiudere il cerchio. Nella quarta stagione vediamo quando conciliare la famiglia con le operazioni fuori da Israele, da infiltrati o meno, non sia per niente facile. Forse lo era all’inizio, quando erano più giovani, ma non più adesso che sentono il bisogno di tranquillità e finirla coi giochi al massacro per difendere il Paese dal terrorismo. Ne sono consapevoli anche le mogli, che in una scena confessano di essere venute a patti – loro malgrado – con quell’esistenza che non ha nulla di normale. L’intero cast eccelle nel trasmettere questo disagio: tanto più Lior Raz nei panni di Doron, tormentato dai lutti, dal sacrificio di avere perso la famiglia e i colleghi, ma allo stesso tempo incapace di stare a commiserarsi quando l’unità anti-terrorismo ha bisogno di lui.
E’ come se fossero tutti in una trappola da cui non riescono a uscire per loro volontà, specchio di una realtà poco conosciuta ma che è facile immaginare: le vite-non vite degli infiltrati e dei combattenti, che sacrificano tutto per il loro Paese. Alla fine ci si chiede se siano davvero felici di quello che fanno, ma tant’è.
La produzione della quinta stagione di FAUDA è stata posticipata per via della guerra in corso, che ha purtroppo superato la fantasia degli autori.
GIUDIZIO: 4/5
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