di Stefano Di Maria
Distopia: un termine sempre più diffuso nel mondo seriale, prolifico di storie ambientate in un passato modificato rispetto agli eventi storici (come in THE MAN OF THE HIGH CASTLE) o in un futuro non troppo lontano e possibile pensando alle conseguenze di come viviamo il nostro presente (THE HANDMAID’S TALE). In questa categoria rientra LA BARRIERA (titolo originale LA VALLA), serie spagnola prodotta da Atresmedia e creata da Daniel Écija, che Netflix ha pubblicato con un episodio a settimana concludendo di recente quello che potrebbe essere solo il primo ciclo.
Al centro della vicenda, ambientata nella Madrid del 2045, c’è un virus mortale chiamato Noravirus, che insieme con le conseguenze della terza guerra mondiale ha cambiato radicalmente la società: regna una dittatura che ha diviso la città in due territori separati da una barriera. Nella sezione 1 ci sono i ricchi e privilegiati, sicuri di non rischiare di essere contagiati dal virus; nella sezione 2 c’è il popolo senza diritti e povero. E’ in questo contesto che una famiglia appena riunita lotta strenuamente per liberare la piccola Marta, la figlia di Hugo, che come altri bambini è stata rapita dal Governo. Perché?
LA BARRIERA non è stata realizzata ai tempi della pandemia, cogliendo l’opportunità di produrre una serie di estrema attualità. Piuttosto – per una misteriosa coincidenza – ha precorso il coronavirus a gennaio, a quando risale la messa in onda sulla televisione spagnola. Certo non poteva che suscitare grande interesse, considerando l’epoca che stiamo vivendo. Mai un racconto distopico è stato così vicino ai giorni nostri, facendoci riflettere sulle conseguenze di pandemie come questa: è reale il rischio che qualcuno ne approfitti per dominare i popoli? E’ possibile che, nei corsi e ricorsi della storia, virus così mortali possano farci ripiombare nell’incubo delle grandi dittature?
Al di là di questa riflessione, LA BARRIERA ha comunque poco da offrire. E’ puro intrattenimento, una bella storia di amori, tradimenti, lotte per i diritti e soprusi, con alcuni personaggi meglio caratterizzati di altri. Ma finisce tutto qui. Dopo le ultime scene al limite del fiabesco e fin troppo sentimentali (in questo gli spagnoli sono maestri, tanto da non derogare nemmeno col finale della prima stagione de LA CASA DI CARTA, quando il professore e la poliziotta si ritrovano su un’isola), non si può che pensare si sia persa un’occasione. Sia perché manca l’approfondimento socio-politico e pandemico che una storia del genere richiederebbe sia perché spesso si respira un clima da soap, come in QUALCUNO DEVE MORIRE. I 13 episodi si prestano comunque al binge watching e sono un ottimo passatempo natalizio.
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