“Qualcuno deve morire”, la recensione – Il regime franchista in salsa soap
di Stefano Di Maria
QUALCUNO DEVE MORIRE (in originale ALGUIEN TIENE QUE MORIR), miniserie pubblicata di recente da Netflix, è un titolo inadatto a questa produzione: forse scelto per strategie pubblicitarie, c’entra poco o nulla con una storia che ha i suoi morti ma vuol raccontare ben altro.
I tre episodi, diretti da Manolo Caro per il colosso dello streaming, fotografano la Spagna degli anni Cinquanta: quella della dittatura di Franco, dove il conformismo era tutto in una società conservatrice e fortemente tradizionalista. In questo contesto gli omosessuali dovevano nascondersi, rinnegare se stessi, adeguarsi al matrimonio come tutti. E quando qualcuno usciva fuori da questi schemi, per delazione o per sua volontà, era la fine: a parte l’onta per la famiglia, si veniva arrestati e rinchiusi in squallide celle, addirittura torturati per fare i nomi di altri omosessuali.
Capita anche questo ad alcuni dei protagonisti della storia, combattuti fra il voler essere se stessi e l’adeguarsi alle regole. Protagonisti Gabino (nei suoi panni Alejandro Speitzer), tornato dal Messico, che il padre vuole far sposare e lavorare nella sua azienda, e l’amico Lazaro (interpretato dal ballerino messicano Isaac Hernández, che fa parte dell’English National Ballet). Nel cast troviamo anche Carmen Maura, la musa di Pedro Almodovar, ed Ester Exposito, che ricodiamo per la fortunata serie spagnola ELITE.
A dispetto del tema trattato e dell’ottima ricostruzione dell’epoca franchista, QUALCUNO DEVE MORIRE non convince. C’è una teatralità di fondo che si percepisce in ogni scena, come se la buona recitazione lasciasse comunque una disturbante patina da soap opera o teleromanzo. Un limite che si fa più forte nel finale, dominato da un non senso, da scarso realismo, un epilogo a dir poco improbabile ma certo molto, molto teatrale.
Nel complesso una miniserie godibile, ma niente di che, non un capolavoro o un prodotto da annoverare fra le perle del mondo seriale.
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