di Stefano Di Maria
Sono mesi di sorprese, questi, nel mondo seriale di Netflix, che continua a sfornare titoli di qualità e di grande introspezione. L’ultimo esempio arriva dalla miniserie fresca di rilascio TORE, una dramedy svedese che è pessimista e ottimista a un tempo: narra un viaggio alla scoperta di sé parallelo alla fuga da una realtà traumatizzante, troppo difficile da affrontare, pena il crollo mentale.
TORE – LA TRAMA
Il protagonista della serie è il 27enne Tore, che fa tutto il possibile per reprimere il dolore quando la persona più importante della sua vita muore investita da un camion della spazzatura.
Di giorno continua a lavorare nell’impresa di pompe funebri del padre come se niente fosse e inizia a flirtare con il nuovo fioraio. Di notte frequenta una barca adibita a nightclub in città e sperimenta per la prima volta con alcol, sesso e droghe. Un nuovo mondo tanto affascinante quanto rischioso apre improvvisamente le porte a Tore, mentre la sua migliore amica Linn e i colleghi dell’impresa di pompe funebri iniziano presto a preoccuparsi che il giovane stia per perdere l’equilibrio nel disperato tentativo di sfuggire alla realtà.
TORE – LA RECENSIONE. Un giovane tormentato dal dolore e dalla solitudine, alla disperata ricerca di emozioni
Creata e interpretata da William Spetz, con la regia di Erika Erika Calmeyer, TORE è una di quelle serie di cui c’è sempre più bisogno in un modo di egoismo e solitudine, nel quale le persone problematiche, più sensibili di altre, vengono spesso abbandonate a se stesse (che è come dire, quando si diventa autodistruttivi, in compagnia del loro peggior nemico). Tema centrale è la difficile elaborazione del lutto, che nei casi estremi può spingere a negarlo, a rimuoverlo come se non fosse mai successo. Reagisce proprio così Tore, che rifiuta persino l’aiuto dell’amica più intima, entrando in un tunnel di droghe sintetiche, alcol e sesso.
Il giovane Spetz, protagonista in quasi ogni scena, dimostra tutte le sue doti recitative nell’impersonare un giovane tormentato dal dolore e dalla solitudine, alla disperata ricerca di emozioni e di un compagno che gli faccia conoscere l’amore. Un’interpretazione convincente, mai affettata né forzata: si fa presto a empatizzare con lui, facendo il tifo perché possa superare il lutto e riprendere in mano la sua vita, ma anche perché la sua storia d’amore abbia un lieto fine.
Tutt’attorno c’è una girandola di personaggi altrettanto credibili (bravissima Sanna Sundqvist, l’attrice che interpreta Linn), dal più giovane al più anziano: merito di un casting curatissimo, che ha cucito ogni ruolo addosso all’interprete giusto. Come Karin Bertling, Heidi, con cui Tore condividerà un trip allucinogeno: è qui che ci sono due generazioni a confronto, che hanno in comune il lutto, la solitudine e la ricerca di una felicità difficile da afferrare, indipendentemente dagli anni che si hanno alle spalle.
TORE, composta da sei episodi di mezz’ora ciascuno, è una serie da non perdere, nella quale l’omosessualità c’è ma sta ai margini, come fosse solo un dettaglio, introspettiva e spumeggiante come non se ne vedevano da tempo. Datele una chance.
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