Il Mondiale di calcio in Qatar raccontato dai più prestigiosi osservatori nazionali.
Nando Sanvito ha alle spalle un quarantennio di carriera giornalistica, cominciata come corrispondente da Madrid per Il Giornale di Montanelli e per il settimanale Il Sabato e proseguita in televisione con la redazione sportiva di Mediaset. Dal 2016 si dedica al giornalismo investigativo e collabora con tv, radio e media italiani e stranieri. E’ anche autore di libri a carattere storico e artistico
Non l’hanno presa bene alcuni colleghi, ma soprattutto alcuni calciatori, che il sottoscritto li abbia esortati in un articolo di qualche giorno a fa ribellarsi al ruolo di “utili idioti del politicamente corretto”, a cui li hanno confinati direttori/editori o Federazioni, ma purtroppo è la realtà. Quel che sta succedendo al Mondiale è una gigantesca fiera dell’ipocrisia, ad uso mediatico. I divieti della Fifa a manifestare il dissenso in campo sono diventati la foglia di fico contro cui strofinare tastiere e fasce da capitano per sentirsi moralmente a posto in un luogo fuori posto e legittimare il proprio ruolo di cerimonieri del carrozzone. La cosa più nauseante è che a fomentare le finte sceneggiate di sdegno sono quelle stesse Federazioni che delegarono chi scelse il Qatar come sede di un Mondiale. All’epoca della designazione tutte zitte, come se non sapessero dove stavano portando il circo massimo del pallone, ma soprattutto come se ignorassero il modo fraudolento e corrotto con cui era avvenuta la elezione.
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Mondiale, Sanvito: “Perché non una fascia One worker”?
Ora che sono passati all’incasso, fingono di rifarsi una verginità mettendo al braccio di un capitano una fascia arcobaleno. Nossignori, non siamo così sprovveduti da farci prendere per i fondelli. Ma è ora che si diano una sveglia anche gli stessi calciatori, che sappiano dire no a chi li espone a sceneggiate patetiche. Premesso che a Usa ’94 non abbiano visto nessuno in campo protestare contro la pena di morte vigente in quel Paese, chi ha autorizzato Neuer e compagnia a discriminare i ‘diritti’? In Qatar un datore di lavoro tiene in ostaggio i suoi dipendenti immigrati sequestrando loro il passaporto e la legge glielo consente: qualcuno ha visto al braccio di Neuer o di Kane la fascia “One worker”? In Qatar le donne hanno bisogno del permesso del tutore maschile per sposarsi o per viaggiare all’estero: qualcuno ha visto sulle tute dei calciatori lo slogan “One woman”? I simboli religiosi diversi da quelli dell’Islam non sono ammessi in pubblico e a un cittadino qatariota non è consentito convertirsi ad altra religione: qualcuno ha visto una nazionale di calcio rivendicare la libertà religiosa? Potremmo continuare all’infinito. Abbiamo visto invece rivendicare con “One love” solo ed esclusivamente i diritti della comunità Lgbt, tra l’altro senza neppure esigere da quella comunità una abiura e una presa di distanza dal lucroso mercato di bambini comprati e venduti già alla nascita come se fossero merce da supermercato.
Sanvito sui Mondiali e diritti: “I calciatori si diano una svegliata”
Paradossalmente si è mostrata più sensata la corrotta Fifa, proponendo dai quarti di finale una scritta contro ogni discriminazione. Si diano una sveglia i calciatori (e i giornalisti) e la smettano di prestarsi a fare da megafono a questa o a quella lobby, siano esse di natura commerciale, politica o culturale, ma se devono alzare la voce la alzino in difesa dei diritti di tutti, senza selezionarli in omaggio al potente di turno. Infine una considerazione sull’evento: se si decide (giustamente) che lo sport debba rappresentare uno spazio profetico di convivenza civile per tutti i popoli, razze e nazioni, si accetti di andare anche laddove non si vorrebbe politicamente andare. L’alternativa è che qualcuno (ovviamente i governi delle nazioni più potenti e influenti) si arroghi il diritto di selezionare chi può fare parte della comunità degli sportivi e chi no, facendoci credere che nel bordello ci siano verginelle.
Nando Sanvito
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