di Stefano Di Maria
Ci sono serie che ti entrano dentro, nella mente e nel cuore, e non se ne vanno più. Serie che lasciano traccia di sé per sempre, distinguendosi dai prodotti “usa e getta” che hanno inondato le piattaforme, quelli da fastfood per intenderci. Una di queste è BABY REINDEER, che in questi giorni sta facendo parlare molto di sé. Eppure non c’è stata nessuna campagna pubblicitaria come, ad esempio, per il discutibile IL PROBLEMA DEI TRE CORPI. BABY REINDEER si è affacciata timidamente nel catalogo Netflix e dalle ultime posizioni della top ten si è piazzata saldamente al primo posto. Merito del passaparola. Sì, perché è una serie imperdibile, che tratta in modo del tutto originale il tema dello stalking (ma non solo): a subirlo non è una donna, bensì un uomo. Ma c’è di più: la storia è vera e ad averla vissuta è proprio lui, il protagonista della serie, Richard Gadd.
BABY REINDEER – La trama
Tratta dal premiato one man show che ha fatto furore al Fringe Festival di Edimburgo, Baby Reindeer segue la strana relazione tra il comico fallito Donny Dunn (Richard Gadd) e la sua stalker, mostrando l’impatto che ha su di lui quando deve affrontare traumi da tempo dimenticati. Un’avvincente storia dall’umorismo nero e dai tanti risvolti riflessivi. Tra gli altri interpreti Jessica Gunning nel ruolo di Martha, Nava Mau (Teri) e Tom Goodman-Hill (Darrien).
BABY REINDEER – La recensione
Fin dal primo episodio lo spettatore viene catapultato in una storia catartica, domandandosi come reagirebbe se, come Donny, solo per un atto di gentilezza, fosse preso di mira da uno stalker che lo tormenta per anni con migliaia di mail, messaggi sui social e vocali sul telefono. La complicata vita di Donny ci mette poco a diventare la nostra, creando subito un’empatia e un coinvolgimento emotivo che lascia spiazzati. Ma anche con un profondo sentimento di frustrazione: com’è possibile che, di fronte a un palese stalking, la polizia non faccia nulla fino a quando non ci sono aggressioni fisiche? Come se quelle mentali non contassero nulla o molto meno.
Richard Gadd è stato coraggioso a mettere in scena, così come aveva già fatto in teatro, non solo questa vicenda ma anche le violenze subite da un uomo che lo drogava, le paure e debolezze che limitavano il suo agire quotidiano e la sua riuscita nel lavoro (voleva diventare un comico di successo). Non si è risparmiato in nulla, ha messo in tavola tutte le sue carte (notevole la performance del monologo teatrale nel penultimo episodio), anche quella della lusinga: avendo l’autostima sotto i piedi, si sentiva così lusingato dall’alta considerazione che nutriva per lui Martha che inizialmente non l’ha denunciata. Finché lei (interpretata da una Jessica Gunning eccezionale), non ha cominciato a molestare anche i suoi genitori, la sua ex fidanzata e la sua attuale compagna trans.
Quella raccontata nei sette episodi di circa mezzora, ben ritmati e sorretti da colonne sonore perfette, è dunque un racconto profondamente psicologico, che si addentra nei meandri di due menti malate: quella di Martha e quella di Donny, che paradossalmente proprio grazie a lei esce dal suo guscio per riprendere le redini della sua vita. Una storia inquietante, tanto più perché vera, che può aiutare chiunque si riconosca ad affrontare il problema, magari mettendo in discussione se stessi e le proprie certezze. L’unico difetto di BABY REINDEER (“piccola renna”, nomignolo affibbiato a Donny dalla stalker) è che sia finito. Ma di certo non si dimentica.
GIUDIZIO: 4 su 5
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