di Stefano Di Maria
ETHOS è una serie che rischia di passare inosservata fra la miriade di titoli sfornati a ritmo sempre più frenetico da Netflix. Peccato, perché è una di quelle produzioni che meritano una chance per la qualità del soggetto e sono imperdibili per chi ama scoprire altre culture.
Ambientato nelle periferie più povere di Istanbul, è un racconto corale della condizione della donna in Turchia. Qui è infatti il genere femminile protagonista assoluto delle diverse story-telling: ci sono le donne succubi di una cultura conservatrice, devote al marito e ai familiari, tutte casa e religione; e ci sono le donne moderne, che rifiutano il velo e vivono la propria vita all’occidentale. Ma entrambi questi modelli conoscono davvero la felicità? Le vicende narrate pongono l’interrogativo mostrando il disagio esistenziale che lega persone molto diverse fra loro, desiderose di essere se stesse sino in fondo, senza prevaricazioni né dogmi da seguire. A rappresentare questa immagine è una ragazza che di nascosto dai genitori indossa le cuffie e balla la musica elettronica, liberando così ogni freno come non potrebbe mai fare nel corso della sua giornata.
Al centro di tutto c’è Meryem, che vive col fratello e la cognata e fa le pulizie a casa di un playboy straricco. La conoscenza della psichiatra Peri cambierà più la vita della dottoressa che la sua: con la sua genuinità e bontà d’animo, Meryem farà crollare gli argini che assicurano la stabilità emotiva di Peri, la quale nel profondo cova un’insoddisfazione e un disagio destinati a esplodere. Le loro vite, per casualità o per effetto delle scelte, si incroceranno con quelle di altre donne ma anche di uomini che sembrano, loro malgrado, vittime dello stesso sistema: c’è chi si dispera per la moglie depressa, chi s’innamora perdutamente di Meryem, un playboy che non riesce a trovare la serenità e un predicatore che fa da spirito guida. Ad accomunarli sono quei rari momenti in cui si lasciano andare, facendo trasparire tutta la loro umanità.
Il punto debole di ETHOS è che è una serie spesso lenta, che richiede pazienza e attenzione: a caratterizzarla sono dialoghi lunghi, anche di oltre dieci minuti. Ma succede sempre qualcosa, il ritmo va e viene: appassionarsi è naturale dopo avere superato qualche scoglio iniziale. Un plauso va alla fotografia, che cristallizza interni ed esterni come fossero quadri, e alle colonne sonore (addirittura, alla fine di alcuni episodi, ci sono le esibizioni del più noto cantante turco, come a voler sottolineare la passione di un popolo che fatica a far trasparire le sue emozioni).
ETHOS, titolo che potrebbe riferirsi alla leggerezza della commedia greca, è un viaggio in un mondo lontano dalla nostra cultura, dal nostro modo di vivere e pensare, ma che sotto traccia ci mostra persone con desideri e aspirazioni nemmeno tanto diversi dai nostri.
Foto: Cinematographe.it
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