di Stefano Di Maria
Prometteva brividi a go go, paura se non terrore, la nuova miniserie horror di Netflix IL DIAVOLO IN OHIO, invece la delusione è tale che di intrigante resta solo un dettaglio: la storia è ispirata a una vicenda vera, raccontata nell’omonimo romanzo del 2017 scritto da Daria Polatin, che lo ha adattato per la televisione. Peccato che, malgrado la qualità del prodotto, il risultato sia deludente: il tema delle sette è rimasto ai margini, virando piuttosto su una storia che ricorda i family drama.
IL DIAVOLO IN OHIO – LA TRAMA
Suzanne è una psichiatra che in ospedale si imbatte in una misteriosa ragazza, Mae, soccorsa per strada mentre fuggiva da qualcuno che la inseguiva. Inizialmente la giovane non parla, è traumatizzata, ma poco a poco si apre con Suzanne, che arriva a chiederla in affido portandola a casa propria. Da quel momento la vita della famiglia della dottoressa cambierà totalmente: l’arrivo di Mae in casa scombussolerà le vite del marito e delle tre figlie, destabilizzando quella che era una normale famiglia americana. Sullo sfondo ci sono i flashback del passato, a sua volta traumatico, di Suzanne, la quale rivede in Mae la ragazza che era un tempo e che nessuno ha salvato. Intanto emergono i dettagli della setta da cui proviene la ragazza, i cui genitori stranamente non l’hanno reclamata dopo la sua fuga: sul caso indagano due detective.
IL DIAVOLO IN OHIO – LA RECENSIONE
Per quanto sia una serie girata bene, con un’ottima regia e interpretazioni brillanti, IL DIAVOLO IN OHIO non rispetta la sua promessa (almeno dal trailer) di approfondire il mondo esoterico e delle sette. Né, a parte pentacoli, croci capovolte e trascurabili rituali, si respira un clima la paura, provando quei brividi lungo la schiena tipici delle storie horror. L’impressione è che sia stato sfruttato il filone delle sette, che hanno sempre molta presa sullo spettatore medio, per raccontare un family drama: prova ne sono le sottotrame che nulla portano all’economia della storia. Oppure, a dispetto delle buone intenzioni, la scrittura (che per altro presenta dei vuoti narrativi) ha perso la sua strada prendendo tutt’altra direzione.
Se non si hanno grandi pretese o aspettative, la miniserie è comunque godibile. Se non altro per le interpretazioni dell’ottimo cast: a cominciare dalla Emily Deschanel di BONSE, davvero notevole nel ruolo di Suzanne, così come Madeleine Arthur nei panni di Mae, così angelica quanto inqueintante. La serie di conclude con un cliffhanger che prelude a una seconda stagione. Chissà, magari riusciranno finalmente a farci rabbrividire.
VOTO: 2 su 5
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