“Made in Italy”, la storia della moda in una fiction più che una serie
“Chi lo dice che la rivoluzione non l’abbiano fatta le minigonne di Mary Quant molto più dei cortei studenteschi del ’68?”: sta tutto racchiuso in questa battuta il senso di MADE IN ITALY, serie tv che ha l’ambizione di raccontare l’evoluzione della moda in Italia.
Prendendo a pretesto le vicende (frutto di fantasia) della rivista milanese “Appeal”, ci spiega come gli stilisti dell’epoca (molti dei quali preferivano farsi chiamare sarti) volessero esprimere il loro pensiero, la loro idea di rivoluzione che segnasse i cambiamenti della società attraverso quella che era più un’arte che una professione: tutto stava nei tessuti e nella fattura scelti, nei modelli, nei colori e nei motivi di ogni collezione.
Perché anche gli abiti possono essere rivoluzionari, accorciando le distanze da un mondo – quello delle contestazioni studentesche – con cui forse avevano in realtà molto in comune.
Vediamo così – anche attraverso immagini di repertorio dei veri stilisti – Stefania Rocca interpretare Krizia, Claudia Pandolfi ed Enrico Loverso Rosita e Ottavio Missoni, Nicoletta Romanoff Raffaella Curiel, Raoul Bova Giorgio Armani e tanti altri…
Protagonista della storia è Irene Mastrangelo, nei cui panni c’è una freschissima Greta Ferro, figlia di immigrati del sud che non vuole la vita costruita per lei dai genitori, con un marito e dei figli. Quando risponde all’annuncio della rivista di moda “Appeal”, non sa che s’innamorerà di quel mondo né quanto sia portata per fare la giornalista glamour che lancia nuove tendenze.
A insegnarle tutto in redazione sarà Rita Pasini, interpretata da una perfetta Margherita Buy che fa il verso all’indimenticabile Miranda Priestly di Meryl Streep de “Il diavolo veste Prada”.
Forse sarebbe stato più opportuno renderla simile alla nostrana Franca Sozzani di “Vogue Italia”, cui è dedicata la serie, ma tant’è.
Di episodio in episodio, ciascuno dedicato a uno stilista destinato a divenire famoso, assistiamo alle disavventure e ai successi di Irene, che riesce a diventare giornalista e a farsi strada fino all’impensabile finale di stagione.
Tutt’intorno ruotano i colleghi di lavoro (c’è spazio per una story-telling gay che ormai è immancabile in ogni prodotto televisivo) e spicca un fotografo impersonato da Marco Bocci, inedito in questa parte dopo i suoi ruoli nelle serie poliziesche.
Nel complesso MADE IN ITALY è una serie godibile e ben costruita. Perfette le ricostruzioni delle contestazioni di quegli anni, la fotografia di una Milano che avevamo dimenticato, come pure i costumi dell’epoca.
Si nota che c’è tanto lavoro dietro le quinte, anche se è innegabile che il prodotto si avvicini più alle fiction che alle serie tv tradizionali.
Gli otto episodi sono disponibili su Amazon Prime Video, con cui la Taodue di Mediaset ha inaugurato la sua collaborazione con le piattaforme di streaming. La serie, pardon la fiction, sarà trasmessa su Canale 5 in primavera.
Foto: tvserial.it
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